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Apparecchio di contenzione, perché è importante

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Il sogno di chi ha portato l’apparecchio fisso per anni è quello di liberarsene una volta per tutte e non pensarci più. In realtà però per mantenere i risultati ottenuti una volta finita una terapia ortodontica, è necessario un altro piccolo sforzo da parte dei pazienti che dovranno portare per un certo periodo di tempo un altro tipo di apparecchio, quello di contenzione.

La fase successiva alla fine della terapia ortodontica infatti è estremamente delicata perché se non si seguono alla lettera tutte le direttive dell’ortodontista rispetto alla fase di contenzione, il rischio che si verifichi una recidiva ortodontica è molto alto.

Insomma, meglio mettersi l’animo in pace e portare questo apparecchio di contenzione che vedere vanificati tutti gli sforzi fatti fino a quel momento.

Cos’è la recidiva ortodontica

La recidiva ortodontica si verifica quando i denti tornano a spostarsi dopo una terapia.

Al termine di un movimento ortodontico i denti infatti tendono a ritornare nella loro posizione originale per una sorta di memoria dei tessuti che li sostengono. Inoltre la bocca è sottoposta a diverse forze muscolari che riescono a spostare facilmente i denti allineati perché non ancora consolidati nella loro nuova posizione.

L’unico modo per prevenire una recidiva ortodontica è l’apparecchio di contenzione.

Tipi di apparecchio di contenzione

L’apparecchio di contenzione può essere di due tipi:

  • Rimovibile, si tratta di una mascherina trasparente o una placca in resina e filo metallico. Viene realizzato in laboratorio in base alla nuova posizione dei denti allineati dal trattamento ortodontico. L’efficacia dell’apparecchio di contenzione rimovibile nel prevenire una recidiva ortodontica è strettamente collegata alla collaborazione del paziente.
  • Fisso, si realizza con retainer passivo cioè un archetto metallico attaccato sulla parte interna dei denti. Viene applicato da canino a canino passando per gli incisivi, il settore anteriore è quello infatti più predisposto alla recidiva. Se da un lato ha il vantaggio di non richiedere la collaborazione del paziente, dall’altro la contenzione fissa può rendere le manovre di igiene orale più complicate soprattutto perché impedisce l’uso del filo interdentale.

Per quanto tempo portare la contenzione

È bene sapere che la fase di contenzione non ha breve durata, in ogni caso il tempo per cui il paziente dovrà portare questo tipo di apparecchio viene stabilito dall’ortodontista in base alla situazione di partenza e alla presenza di eventuali abitudini viziate che possono incidere sul mantenimento del risultato. 

In linea generale la fase di contenzione dura almeno 2 o 3 anni durante i quali il paziente dovrà recarsi a periodiche visite di controllo per valutare la situazione. Inoltre sarebbe opportuno continuare queste visite di controllo, ogni 6 o 12 mesi, anche alla fine della fase di contenzione così da poter riscontrare subito eventuali piccoli movimenti e correggerli semplicemente rimettendo l’apparecchio di contenzione.

Ricordiamo che nel caso in cui i denti tornino ad essere storti dopo una terapia ortodontica l’unico modo per allinearli nuovamente è mettere l’apparecchio fisso, perché in caso di recidiva ortodontica le apparecchiature di contenzione non servono a nulla.

Per quante ore al giorno?

Uno dei protocolli consiste nell’indossare  la contenzione tutto il giorno per i primi 3-4 giorni, l’apparecchio va tolto solo per mangiare e lavare i denti. 

Nei primi 6 mesi dopo il trattamento per almeno 14 ore al giorno, quindi tutta la notte e per qualche ora durante la giornata.

Dopo i primi 6 mesi si potrà ridurre l’utilizzo solo durante le ore notturne fino ad almeno 2 anni dalla rimozione dell’apparecchio ortodontico.



Laser per la parodontite, funziona?

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La parodontite è una patologia infiammatoria degenerativa molto più diffusa di quanto si pensi. Purtroppo se non diagnosticata in tempo o non curata in modo efficace, la malattia parodontale può avere conseguenze estetiche e funzionali disastrose per la salute del cavo orale, portando alla caduta dei denti coinvolti.

Negli anni la ricerca scientifica ha sempre tentato di sviluppare mezzi e strumenti più efficaci per la cura della parodontite, come l’utilizzo di microparticelle di eritritolo spruzzate ad alta velocità per pulire a livello microscopico la superficie radicolare e le curettes soniche che sono andate a sostituire quelle manuali. Le curettes soniche infatti dispongono di un movimento oscillatorio tridimensionale che permette al parodontologo di eseguire un lavoro molto più veloce e accurato.

Tuttavia negli ultimi tempi si è fatto largo negli studi dentistici l’uso del laser per la cura della parodontite.

Esattamente come è successo per il trattamento della carie, il laser viene presentato come la cura migliore per la parodontite con numerosi vantaggi rispetto alla terapia tradizionale. Ma è davvero così?

Il laser e la parodontite: quale relazione troviamo?

Lo Studio Dentistico Cozzolino adotta le più avanzate ed aggiornate terapie per la cura della parodontite in tutte le sue forme cliniche (cronica, aggressiva, etc). Oggi, secondo le società scientifiche nazionali ed internazionali del settore, come la SidP, ‎Società Italiana di Parodontologia, “L’uso del laser non è sufficientemente giustificato dai dati della letteratura scientifica“.

“Tutti gli studi fino ad oggi pubblicati concordano sul fatto che i benefici ottenuti non sono mai superiori alle procedure convenzionali e che il laser non determina nessun vantaggio aggiuntivo se usato in combinazione con la terapia convenzionale.”

Queste osservazioni condivise dai massimi esperti mondiali, sono state pubblicate sulle migliori riviste di Parodontologia e fanno parte delle linee guida internazionali per la cura della parodontite.

Il laser non apporta miglioramento nella cura della parodontite in termini di riduzione della carica batterica, di guadagno di salute dei tessuti molli gengivali e di rimozione del tartaro. ‎

Per questo motivo presso il nostro studio si praticano terapie parodontali sia di tipo non-chirurgico che di tipo chirurgico rigenerativo e di rimodellamento dei tessuti gengivali ai fini funzionali ed estetici senza l’utilizzo del Laser.

Trattamento “convenzionale” della parodontite

Il trattamento “convenzionale” della parodontite, o meglio l’unica terapia che dovrebbe essere messa in pratica in questi casi per salvaguardare i denti naturali del paziente prevede una o più sedute di ablazione del tartaro, curettage gengivale e levigatura delle radici.

In pratica se eliminiamo tutta la placca e il tartaro intorno ai denti e attuiamo un protocollo di pulizie domiciliari e professionali per impedire l’accumulo successivo possiamo controllare la malattia parodontale impedendone la progressione.

Se dopo diverse sedute sono ancora presenti tasche parodontali profonde e la morfologia ossea lo permette si può passare alla terapia chirurgica rigenerativa o resettiva.

Conclusioni

L’obiettivo della terapia per la parodontite è l’eliminazione dei batteri contenuti nella placca dentale e nel tartaro. I laser non risultano essere efficaci nella rimozione dei depositi di tartaro dalla superficie radicolare e di conseguenza non sono idonei nel trattamento per la malattia parodontale.

Ricordiamo che la parodontite se non curata o non curata nel modo giusto, porta nel tempo alla perdita dei denti che dovranno essere poi sostituiti con protesi mobili o fisse come l’impianto dentale.

L’unico modo sicuro ed efficace per affrontare la malattia parodontale è attraverso procedure cliniche durante le quali venga utilizzata una strumentazione adeguata. Inoltre se l’approccio non chirurgico non produce i risultati sperati è necessario intervenire chirurgicamente per correggere le tasche gengivali persistenti.

Estrazione di un dente da latte, come fare

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La caduta dei denti decidui è un processo naturale che comincia intorno ai sei anni di età.

In alcuni casi può capitare che la permuta dei denti decidui vada aiutata mediante l’estrazione, tuttavia è importante capire se e quando estrarre un dente da latte per evitare problemi futuri.

Quando possibile infatti, l’estrazione di un dente da latte che non è prossimo alla permuta va sempre evitata.

La dentizione decidua infatti svolge diverse funzioni molto importanti tra cui:

  • mantenere lo spazio per i denti permanenti
  • tracciare il percorso per l’eruzione dei denti permanenti in arcata
  • consentire la corretta masticazione del bambino
  • sostenere lo sviluppo del linguaggio

Diventa essenziale quindi prendersi cura dei denti dei bambini come si deve, insegnando ai più piccoli l’importanza sia di una corretta igiene orale sia delle visite di controllo dal dentista.

Quando estrarre un dente da latte

In genere i denti da latte vanno estratti quando rappresentano un impedimento per la corretta eruzione della dentatura permanente.

Può capitare infatti che i denti decidui non cadano spontaneamente rimanendo in arcata per un tempo più lungo rispetto a quello fisiologico, in questo caso si parla di caduta posticipata.

Quando i denti da latte tardano a cadere è opportuno prenotare una visita dal proprio pedodonzista di fiducia perché se i denti decidui rimangono in arcata più del necessario possono provocare danni ai denti permanenti ponendo le basi per una malocclusione dentale.

Estrarre un dente da latte cariato

Come abbiamo visto, i denti da latte sono importantissimi e devono rimanere in arcata per tutto il tempo necessario al fine di consentire la corretta eruzione dei denti permanenti.

La caduta anticipata o l’estrazione di un dente da latte non prossimo alla permuta può portare il bambino ad avere i denti permanenti storti rendendo necessario un apparecchio ortodontico.

Un dente da latte cariato quindi non va estratto, ma curato proprio come uno permanente attraverso una terapia canalare o la devitalizzazione se necessaria. L’estrazione di un dente deciduo cariato invece è prevista quando la carie è talmente estesa da non essere curabile.

Anestesia locale o sedazione

Estrarre un dente da latte prossimo alla caduta non è per nulla doloroso. In questo caso infatti per evitare ogni disagio al piccolo paziente si procede con la perfrigerazione, cioè si raffredda la zona con un un getto di cloruro di etilene in modo da anestetizzare la parte. Nel caso in cui il dente da latte non sia prossimo alla permuta si ricorre all’anestesia locale.

Se il bambino è troppo piccolo (in genere sotto i sei anni di età), particolarmente spaventato o ansioso al punto da non riuscire a stare fermo con la bocca aperta per tutto il tempo necessario, si può ricorrere alla sedazione cosciente. In questo caso il paziente è completamente insensibile al dolore, ma riesce a collaborare serenamente con il dentista, inoltre vengono mantenuti invariati i parametri vitali.

L’importanza di mantenere lo spazio tra i denti

Quando un dente da latte cade o viene estratto in anticipo, è necessario applicare un mantenitore di spazio, cioè un apparecchio fisso o mobile il cui scopo è conservare lo spazio lasciato libero dal dente deciduo così da evitare problemi di accavallamento dentale in futuro.

Di solito viene ben accettato dal bambino che dopo qualche giorno non avvertirà nessun fastidio essendosi abituato a questa presenza.

Estrarre a casa un dente da latte

Quando un dente da latte sta per cadere dondola vistosamente e ciò potrebbe causare fastidio al piccolo sia durante i pasti che nelle attività quotidiane.

Se il bambino prova un forte disagio, un genitore potrebbe intervenire direttamente per facilitare la caduta. Tuttavia se il bambino non vuole procedere perché ha paura o si sente ansioso è meglio non forzarlo e aspettare che il dente cada da solo.

La prima cosa da fare è verificare se effettivamente il dente deciduo sia prossimo alla permuta, vale a dire se il dente risulta molto mobile e si lascia dirigere in tutte le direzioni. Se non è ancora il momento di toglierlo è meglio lasciarlo lì dov’è, evitando il rischio di emorragie e dolori al bambino. 

Per estrarre un dente da latte a casa si possono usare diversi sistemi, in ogni caso prima di procedere è bene informare e tranquillizzare il bambino

Per togliere un dente da latte prossimo a cadere in casa, un genitore con le mani perfettamente pulite può estrarre il dente utilizzando una garza sterile con movimento deciso.

Altrimenti è possibile provare a chiedere la collaborazione del piccolo chiedendogli di spingere il dente con la lingua fino per forzare la caduta o mordere un alimento duro come ad esempio una mela. Il genitore dovrà fare molta attenzione affinché il bambino non ingoi il dente da latte che si è staccato. Dopo che il dente è stato estratto potrebbe verificarsi una piccola emorragia che è possibile tamponare con un po’ di garza sterile.

È vero che la pulizia dei denti può rovinare lo smalto?

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Questo è uno dei miti difficili da sconfiggere: la pulizia dei denti rovina lo smalto? No, non è così. O meglio, un lavoro eseguito da un professionista e con strumenti adeguati non rischia di rovinare, graffiare o scheggiare in alcun modo lo smalto.

Ma ci sono delle precisazioni da fare. Anche se è vero che una pulizia dei denti professionali è innocua nei confronti dei denti, anzi partecipa attivamente per evitare carie e infiammazione del parodonto, potrebbero esserci condizioni differenti. Vale a dire?

Cos’è la pulizia dei denti e in cosa consiste

La pulizia dentale (nota come detartrasi o ablazione del tartaro) è un’attività svolta in uno studio dentistico professionale da un igienista, o in casi specifici dallo stesso odontoiatra, per rimuovere placca e tartaro che si accumulano tra i denti. Serve a scongiurare:

  • Carie
  • Parodontite
  • Gengivite

Questa procedura viene eseguita utilizzando una miscela di acqua e polvere (eritritolo) molto sottile – ha una granulometria di 14 micron – oppure con strumenti manuali, sonici e ultrasonici che permettono di togliere i residui di placca (non tolti da spazzolino, scovolino e filo interdentale) che si mineralizzano e si trasformano in tartaro.

Leggi anche: fasi della pulizia dei denti professionale

Perché la pulizia dei denti non rovina lo smalto

Il primo motivo da seguire: tutti gli strumenti sono pensati per lavorare a contatto con lo smalto, quindi a non rovinarlo ma a togliere solo i residui di placca e tartaro.

Questi ultimi sono i reali nemici di una corretta salute dentale. Certo, gli strumenti usati possono provocare dei danni allo smalto in linea teorica ma dobbiamo contestualizzare.

Come già detto, tutti gli strumenti sono pensati per lavorare a contatto con lo smalto, quindi a non rovinarlo ma a togliere solo i residui di placca e tartaro. Vale a dire i reali nemici di una corretta salute dentale. Gli strumenti possono lasciare danni allo smalto se manca:

  • Competenza nell’usare gli strumenti
  • Scelta adeguata in un caso specifico
  • Se sono usurati

Chi si occupa della pulizia dentale deve essere in grado di decidere cosa usare e come agire. È chiaro il punto espresso in precedenza: la pulizia dei denti rovina lo smalto? No, in nessun modo può palesarsi quest’eventualità se si scelgono strumenti giusti e si usano seguendo le regole. Opzioni che dovrebbero essere la base.

la pulizia dei denti rovina lo smalto
Effetti collaterali della pulizia dei denti.

Inoltre bisogna considerare che l’azione dei vari ablatori sonici e ultrasonici, così come lo specillo (uncino per ispezionare la superficie dei denti), non si concentra su un unico lato del dente coperto dallo smalto ma sul solco gengivale. Ovvero lo spazio tra dente e gengiva nel quale si accumula placca e tartaro.

Però la pulizia dei denti può fare male, vero?

Sì, in alcuni casi la pulizia dei denti può essere dolorosa, anche se oggi ci sono delle tecniche minimamente invasive (GBT). Forse per questo viene considerata una pratica potenzialmente dannosa per lo smalto. A volte si prova fastidio anche dopo la pulizia ma questo può essere perfettamente normale. Soprattutto se ci sono accumuli di placca batterica e tartaro dovuti a una mancata pulizia nel corso degli anni e infiammazioni delle gengive.

In questi casi è normale sentire dolore durante la pulizia dei denti e avere del sanguinamento. Ma questo non deve essere confuso con un possibile danno allo smalto. Anzi, basti pensare che si sta combattendo la parodontite.

Cosa può rovinare veramente lo smalto?

Meglio concentrarsi su altre cause se si cerca un colpevole che danneggi lo smalto. Ad esempio si potrebbero registrare danni con uno spazzolamento troppo energico o con l’uso di stuzzicadenti, senza dimenticare alimenti acidi come il limone.

Casi di erosione e abrasione si manifestano anche con l’eccessivo contatto con i succhi gastrici, condizione tipica di chi vomita continuamente come i casi di anoressia e bulimia. In molti casi la soluzione può essere la correzione delle cause che rovinano lo smalto e l’applicazione di faccette dentali.

Prevenzione Coronavirus dal dentista: quali regole seguire

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L’attenzione è per questa nuova forma di Coronavirus (nCoV) allarma la popolazione. Il Ministero Della Salute ha condiviso indicazioni chiare rispetto alle attenzioni da seguire per ridurre i contagi e mantenere un buon livello di sicurezza individuale. Per questo è utile anche parlare di prevenzione Coronavirus dal dentista.

Come in ogni situazione pubblica, anche in uno studio odontoiatrico potrebbe sorgere il dubbio: in questi periodi di attenzione posso andare a fare una visita dal dentista? Ci potrebbero essere rischi e problemi?

Senza voler creare inutili allarmismi (nella gran parte dei casi i sintomi vanno da lievi a moderati), è doveroso ricordare che nei pazienti anziani e defedati le complicanze potrebbero essere fatali, e che una diffusione massiva del virus nella popolazione potrebbe mettere in seria difficoltà il sistema sanitario nazionale, a discapito anche di pazienti con altre patologie che potrebbero avere difficoltà a ricevere le cure per sovraccarico degli ospedali.

Per questo è opportuno prendere delle precauzioni.

In primo luogo è giusto segnalare che per la prevenzione del coronavirus dal dentista c’è già un documento ufficiale dell’ANDI che ha definito i punti da rispettare per preservare la sicurezza dei pazienti.

Ecco quali sono i punti principali che mettiamo in campo per attivare una prevenzione nei confronti del Coronavirus dal dentista.

In caso di sintomi influenzali

In caso di febbre, raffreddore, tosse, o se hai in casa un familiare con gli stessi sintomi, è bene evitare di venire in visita, e rimandare le cure fino alla completa guarigione. Bisogna sempre rispettare la regola base suggerita dal Ministero della Salute: nel caso di febbre e raffreddore è consigliabile rimanere a casa, chiamare il medico di base per indicazioni e rimandare il controllo dal dentista.

Quali viaggi hai fatto?

Il dentista avrà cura di inserire nella storia clinica del paziente eventuali viaggi e spostamenti nelle aree decretate a rischio e indicate come in quarantena. Ovviamente vale anche per chi è entrato in contatto con persone che sono entrate in contatto con queste.

Se provieni o hai un familiare proveniente dalle zone di focolaio, o hai viaggiato e soggiornato in quelle zone negli ultimi 24 giorni, è allo stesso modo consigliabile rimandare le cure (consigliabile un periodo-finestra di almeno due settimane).

Ricambio d’aria nelle sale

Il nuovo Coronavirus si trasmette attraverso il contatto stretto. In ogni caso, tra un paziente e l’altro si consiglia di far passare aria fresca nelle sale in cui si effettuano le operazioni e negli spazi decretati all’attesa. Poi, onde evitare affollamenti e attese in luoghi chiusi, è consigliabile evitare il più possibile di venire accompagnati agli appuntamenti.

Lavarsi bene le mani

Ovviamente uno dei punti essenziali per tutelarci e tutelare è questo: lavare bene le mani. In primo luogo i pazienti prima di entrare devono lavarsi le mani per almeno 30 secondi. Anche se può sembrare superflua, ecco una guida suggerita da Wikipedia.

prevenzione coronavirus dal dentista - come lavarsi le mani

Ecco perché nel nostro studio è presente un dispenser con del sapone disinfettante alcolico per invitare gli utenti alla pulizia delle mani.

Dispositivi di DPI interno

Anche se questo è un pilastro medico già osservato, a maggior ragione oggi tutto il personale che opera sul paziente per qualsiasi attività medica (dalla pulizia dei denti alla parodontologia) deve usare i DPI. Vale a dire i dispositivi di protezione individuali come mascherine, guanti, cuffie, camici e visiere per gli occhi.

Pulizia degli strumenti

È importante per il dentista pulire con attenzione gli strumenti che vengono utilizzati e che non sono monouso. Maniglie e bottoni, in questa particolare situazione, devono essere protette e pulite dopo ogni paziente.

È sicuro andare dal dentista?

Molti pazienti ci chiedono se, con queste ultime notizie, sia sicuro andare dal dentista. La risposta: sì. Da parte nostra, oltre ai normali protocolli di disinfezione e sterilizzazione (già normalmente ben oltre il necessario per contrastare il virus), abbiamo provveduto a organizzarci per la disinfezione di tutte le superfici e per una corretta gestione della agenda che eviti inutili affollamenti in sala d’attesa.

Cosa può fare il paziente per diminuire i rischi?

Ne approfittiamo inoltre per ricordare a tutti i pazienti le norme basilari di igiene per evitare diffusione di virus influenzali e non.

❌NON toccarsi occhi, naso, e bocca con le mani senza prima averle lavate o disinfettate con gel appositi

❌NON tossire o starnutire senza coprirsi la bocca con un fazzoletto (monouso) o, in mancanza di quello, con il gomito e non con le mani nude

❌Usare la mascherina in caso di sintomi da infezione respiratoria (tosse, raffreddore) o se si ha il sospetto di avere il Corona virus. Ricorda che le mascherine chirurgiche NON servono da filtro, ma da protezione per gli altri dai TUOI possibili sintomi. Non abusare delle mascherine in assenza di sintomi, meglio LAVARE LE MANI spesso.

➡ I numeri da chiamare utili sono

1500
linea verde del Ministero, per informazioni relative al Coronavirus
112
se avete il sospetto di avere il Coronavirus, o che ne sia stato colpito un vostro familiare. NON andare nei Pronto Soccorso ma chiamare il 112

Nessun panico: mantenere un atteggiamento responsabile e corretto aiuta voi e gli altri.

Perché è sconsigliato l’uso indiscriminato delle mascherine contro il Coronavirus

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L’ Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di indossare la mascherina solo se si sospetta di aver contratto il nuovo coronavirus e se sono presenti sintomi quali tosse o starnuti, oppure se ci si prende cura di una persona con sospetta infezione da nuovo coronavirus.

Perché l’OMS non raccomanda di utilizzarla sempre per proteggersi?

Perché ci consigliano di usarla solo se si hanno sintomi (quindi per preservare la contaminazione di altre persone da noi stessi) o se si deve assistere persone probabilmente contagiate? Se funziona con le persone contagiate perché non usarla sempre per prevenire un possibile contagio?

Facciamo un po’ di chiarezza sull’uso della mascherina.

Le misure da prendere in questo caso devono essere proporzionate e ponderate. In caso di pandemia si parte dal presupposto che ognuno di noi potrebbe essere infetto e in quel caso andrebbe portata sempre la mascherina. Ma è fattibile? Ha senso se la mascherina si usa correttamente. Quale mascherina, poi?

Quale tipo di mascherina è più efficace?

I dispositivi di classe FFP3 hanno un’efficacia filtrante del 98%, rispetto al 92% garantito dalla classe FFP2 e il il 78% delle FFP1

Le mascherine chirurgiche – quelle che vanno a ruba in questo momento per intenderci – servono poco a limitare il rischio. Proteggono non tanto il portatore del virus, ma ad esempio il paziente sul tavolo operatorio dalla possibile contaminazione che può essere veicolata dagli operatori sanitari.

Cioè: serve metterla soprattutto se si sospetta di avere il virus, non se non si vuole contrarlo. La mascherina più efficace per la protezione dai virus resta quella di tipo FFP3 (dove FF significa Facciale Filtrante).

Bisogna anche dire che questi respiratori vengono suggeriti dal ministero della salute agli operatori sanitari e non ai comunic icttadini. La normale mascherina magari con filtro triplo strato comunque ci garantisce una certa protezione. Ad ogni modo, come già è stato detto, qualunque sia la mascherina essa deve essere usata correttamente.

Come usare la mascherina

In primo luogo prima di indossare la mascherina bisogna lavarsi le mani con un detergente disinfettante a base alcolica. La mascherina è efficace solo se abbinata ad un frequente lavaggio delle mani. Acqua e sapone possono sostituire i gel antisettici secondo l’OMS.

Indossare la mascherina e utilizzarla

Una volta inserita e adattata bene al viso (naso e bocca) non devono esserci spazi tra il viso e la mascherina. In nessun caso va tolta e soprattutto non va mai posizionata come spesso si vede sotto al naso altrimenti rischiamo di respirare l’eventuale virus che si è appoggiato sulla superficie esterna. Non è utile indossare più mascherine sovrapposte.

Non vanno fatte telefonate con il cellulare e non la si deve toccare con le mani. Se per caso la tocchiamo dobbiamo immediatamente lavarci le mani.

Rimozione della mascherina

Una volta terminato l’utilizzo va rimossa con due mani prendendola dagli elastici senza scuoterla e buttata immediatamente in un sacchetto chiuso. Bisogna prestare molta attenzione alla rimozione della mascherina perché dobbiamo sempre partire dal presupposto che il virus si sia appoggiato sulla superficie esterna della stessa. Quindi è bene lavare le mani per almeno 30 secondi con un sapone disinfettante dopo la rimozione.

Quindi va usata o no?

Volendo adeguarsi ad uno standard protettivo il più elevato possibile sarebbero necessarie una trentina di mascherine al giorno FFP3 con una spesa notevole. Senza contare la difficoltà a procurarsi mascherine di questo tipo. Non so quanto sia fattibile.

Se riutilizzo la stessa mascherina due volte o magari la abbasso sotto al naso rischio che la stessa mascherina diventi veicolo di infezione. A questo punto probabilmente meglio non usarla che usarla male.

E le mascherine chirurgiche tipo quelle che usiamo noi dentisti, servono? Teoricamente no. Perché il virus potrebbe passare attraverso. Se la si cambia spesso e la si utilizza correttamente senza spostarla però è comunque di certo meglio che non usarla.

In conclusione, ovviamente l’uso della mascherina in aggiunta ad altre misure di igiene aiuta a limitare la diffusione del virus. E la mascherina non è necessaria per la popolazione in assenza di sintomi di malattie respiratorie.

Come cercato di sottolineare, un’altra cosa certa è che le mascherine vanno usate correttamente.

Cause, effetti e rimedi del bruxismo

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Portare a contatto i denti e stringere anche quando non mastichiamo cibo può essere un problema importante per il paziente perché il bruxismo (nome scientifico) condiziona la vita quotidiana. Il bruxismo può essere statico, ossia si stringe solo (serramento) oppure dinamico, oltre a stringere si muovono pure le mascelle (digrignamento). Nel lungo periodo causa un deterioramento dentale precoce, accompagnando il paziente con mal di testa, dolori ai muscoli del viso e altre difficoltà.

Il quadro è chiaro: non puoi sottovalutare questo continuo stringere i denti perché si possono registrare anche danni importanti. Ma è anche vero che si può guarire dal bruxismo (sia di notte che di giorno) e smettere di danneggiare i denti.

Cos’è il bruxismo e quali sono le cause?

Il bruxismo (dal greco antico brùcho, digrignare) è una parafunzione, ossia una funzione che seppur guidata da meccanismi fisiologici non ha un fine funzionale, che impone una contrazione involontaria dei muscoli facciali per circa 5/10 secondi. Questa condizione comporta il serraggio e lo sfregamento delle arcate superiori e inferiori, con relativo disturbo provocato ai denti.

Il digrignare i denti in modo involontario, e con una certa forza, si manifesta spesso di notte ma non è escluso il bruxismo da svegli. Le cause possono essere diverse e abbracciano sia componenti psicologiche (come lo stress) che quelle neurogenerative legate a malattie muscolari.

Bruxismo primario e secondario

La differenza consiste nel fatto che il bruxismo primario si manifesta in soggetti sani che stringono i denti per cause esterne (ansia, stress…) mentre quello secondario viene indotto da farmaci, sostanze prescritte per curare stati antidepressivi e droghe.

Cause del bruxismo involontario dei denti

L’eziologia del fenomeno non è nota, o almeno non è ancora chiaro il motivo per cui si manifesta questa contrazione dei muscoli. In alcuni casi si può parlare di un fattore ereditario, in altri le cause sono da riscontrare in uno stato alterato dell’individuo. Si riscontra spesso il digrignare i denti nei soggetti che soffrono di:

  • Ansia
  • Stress
  • Problemi motivi
  • Abuso di alcool e caffeina
  • Uso di droghe

Il bruxismo è anche un disturbo collegato a malattie neurogenerative o a problemi di malocclusione. Ovvero quando i denti delle due arcate non sono perfettamente allineati e non c’è una perfetta chiusura tra mandibola e mascella.

Cause del bruxismo nei bambini

Un discorso a parte può essere fatto quando si parla del bruxismo relativo ai più piccoli, vale a dire i bambini? In questo caso l’origine del disturbo può essere rilevato anche da un bisogni di alleviare dolori relativi ai denti o ad altri disturbi come le infiammazioni dell’orecchio.

Quando si manifesta: di giorno o di notte?

Di solito il fenomeno si registra di notte, nella seconda fase del sonno e quando il soggetto non è cosciente. Raramente si manifesta nella condizione di sonno REM, vale a dire quando si registra rapido movimento dell’occhio e tendenza ad avere sogni. Ma non è escluso che ci possa essere bruxismo di giorno.

Digrignare i denti: quali sintomi si accusano?

I sintomi del bruxismo possono essere diversi, non per forza esclusivi di questa patologia. Ad esempio si può registrare dolore al collo e alla bocca, in particolar modo mandibola e mascella, ma anche denti sensibili e formicolio facciale.

Ovviamente il primo sintomo che deve preoccupare è dolore insieme a segni di sfregamento ai denti. Solo una visita specialistica dal dentista può risolvere dubbi sulla presenza di questo disturbo, ecco perché è sempre importante lavorare sulla prevenzione e stabilire visite periodiche.

Effetti del bruxismo

Il risultato di questo disturbo, oltre ai vari sintomi elencati, è chiaramente quello di consumare i denti in modo innaturale. Lo smalto si riduce fino a modificare la forma ed esporre la polpa nei casi più gravi. Ecco un esempio di paziente affetto da bruxismo avanzato con erosione grave dei molari e premolari.

digrignare i denti, gli effetti
Cosa succede ai denti con il bruxismo.

La difficoltà nel comprendere la presenza o meno del bruxismo sta nel fatto che può essere un fenomeno anche del tutto silenzioso. D’altro canto il consumarsi dei denti e dello smalto, oltre a provocare diversi problemi estetici e di masticazione, facilita l’insorgenza della carie.

Bruxismo: come smettere con il bite

Ad oggi la migliore soluzione per risolvere il problema del bruxismo è il bite, mascherine di gomma morbida o dura simili a un paradenti (ma sono due cose diverse) che alleviano il carico di un serraggio anomalo e involontario. Questo è il rimedio per risolvere il bruxismo più accreditato ed efficace.

Quale bite scegliere

Esistono diversi modelli, alcuni sono universali e si acquistano online. Sono dei bite preformati, abbastanza spessi,  morbidi e automodellanti che si adattano a tutte le condizioni.  Per avere una maggior efficienza si consiglia di creare un modello specifico dal proprio dentista di fiducia in modo da ottenere una struttura rigida e sottile che si adatti perfettamente ai denti. 

Altri rimedi per il bruxismo

Come anticipato, non esistono altre soluzioni concrete per combattere il serraggio incontrollato dei denti. Di sicuro però si possono attivare delle procedure per alleviare i problemi che portano al bruxismo. Ad esempio ci sono delle tecniche per alleviare gli stati d’ansia e di stress, come ad esempio la meditazione e lo yoga. In questi casi il dentista può aiutarti consigliando altre figure professionali.

Filo interdentale, guida per usarlo al meglio

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Come si usa il filo interdentale? Fa male alle gengive passarlo ogni giorno? Quale scelgo, cerato va bene? Sono queste le domande che i pazienti fanno a proposito di questo strumento per l’igiene orale. Ed è chiaro che sia così: il filo interdentale è scomodo, difficile da usare. Ma necessario.

Lavare i denti con lo spazzolino e usare il collutorio sono due passaggi importanti, ma non sufficienti per pulire realmente la bocca. Il filo è una soluzione ottima se vuoi togliere i residui di cibo dagli spazi interdentali, e prevenire la placca. In che modo procedere? Ecco una guida.

Cos’è il filo interdentale, a cosa serve

Si tratta di uno strumento usato per pulire lo spazio tra i vari denti che compongono le arcate mascellari e mandibolari. Si presenta come un filo di diversi materiali, in base a usi e necessità, confezionato in rotoli che consentono di estrarre piccole porzioni di materiale.

Guida: come si usa il filo interdentale

La tecnica per passare il filo tra i denti prevede un po’ di pratica all’inizio ma, di sicuro, una volta presa dimestichezza i tempi si riducono, in modo da trasformare l’appuntamento con questo passaggio un’attività di routine. Ecco come si usa il filo interdentale nei minimi dettagli.

  • Prendi 20 centimetri di filo.
  • Fissa il filo tra indice e pollice.
  • Inserisci il filo tra i denti.
  • Pulire le superfici laterali dei denti.

Come mostra anche il tutorial video, l’aspetto più importante della pulizia con il filo interdentale è la possibilità di pulire le superfici laterali e nascoste, normalmente non raggiungibili dal normale uso dello spazzolino.

Questo significa che il filo non deve solo entrare tra i denti e raggiungere la gengiva ma si deve strofinare lungo i lati dei denti per detergere queste superfici. Eliminando residui di cibo che, sedimentandosi, danno il via ai processi di placca e al formarsi del tartaro.

Quante volte al giorno si usa il filo?

Il filo interdentale pulisce una parte nascosta del dente, di conseguenza dovrebbe seguire la regola che organizza lo spazzolamento generale: minimo tre volte al giorno. D’altro canto, per comodità e semplicità, si può dire che passare il filo una volta al giorno (meglio la sera) è sufficiente.

Si passa prima o dopo lo spazzolino?

Dopo aver definito quante volte passare il filo interdentale è giusto rispondere alla domanda successiva: meglio usarlo prima o dopo lo spazzolamento dei denti? Ci sono opinioni differenti a riguardo: alcuni specialisti suggeriscono di lavorare prima per facilitare l’azione dello spazzolino, altri preferiscono operare dopo per agevolare l’azione del filo. In realtà l’importante è non dimenticare mai di passarlo, a mio avviso preferibilmente prima.

Quali differenze con l’idropulsore

Spesso si tende a confondere il lavoro del filo interdentale con quello dell’idropulsore (anche noto come idrogetto o doccetta dentale). Vale a dire uno strumento che crea un getto di acqua da dirigere negli spazi tra i denti per eliminare i residui di cibo.

Questo presidio per l’igiene orale domestica sfrutta il getto d’acqua prodotto dalla pompa per pulire gli spazi più stetti e difficili da raggiungere. Ed è perfetto nel momento in cui si porta un apparecchio per i denti e non è possibile passare il classico filo interdentale. Ma in sintesi, l’idropulsore non sostituisce l’efficacia del filo interdentale.

Perché il filo interdentale si spezza?

Può essere un campanello di allarme relativo alla presenza di carie o accumulo di tartaro. Se il filo, passando attraverso il dente, si spezza vuol dire che incontra superfici irregolari. Potrebbe essere un indice di eventuali problemi che intaccano la superficie dello smalto.

Quando passo il filo mi esce il sangue

Può essere sinonimo di un uso scorretto. Passare il filo interdentale tutti i giorni, infatti, è un buon modo per scongiurare carie, placca, tartaro e altri disturbi ma è anche vero che bisogna usarlo bene per evitare di lesionare la gengiva con relativa fuoriuscita del sangue. D’altro canto ci potrebbero essere anche altre cause legate al sanguinamento delle gengive mentre si passa il filo:

  • Nuove abitudini di pulizia.
  • Gengivite.
  • Parodontite.

Nel primo caso parliamo di persone che non hanno mai utilizzato il filo interdentale. In questi casi, iniziando a seguire una buona igiene orale, si potrebbe assistere a un leggero sanguinamento delle gengive che vengono stimolate in modo diverso. Situazione differente, invece, per i casi di gengivite/parodontite che prevedono una situazione da risolvere con l’aiuto del dentista. In ogni caso alla comparsa di sangue durante l’uso del filo interdentale il consiglio è quello di rivolgersi da uno specialista, in modo da risolvere qualsiasi dubbio.

Meglio filo o scovolino per i denti?

Dipende dallo spazio interdentale. Dove c’è spazio si può usare lo scovolino che ha maggiore efficacia in questi casi. Se lo spazio tra i denti è normale si può usare il filo. In ogni caso questa indicazione può essere chiesta al dentista.

Quale filo interdentale devo scegliere?

Basta andare in un qualsiasi supermercato o farmacia per scoprire una varietà di modelli che potrebbe mettere in difficoltà chi decide di usare il filo interdentale. La soluzione migliore: chiedere al proprio dentista quale soluzione usare. Che, di solito, si racchiude in queste alternative:

  • Cerato.
  • Non cerato.

Il primo scivola meglio tra i denti. Il secondo invece offre una maggiore aderenza e risulta meno tagliente.

filo interdentale
Classico filo per chi ha apparecchi ortodontici.

Esistono anche fili interdentali specifici per chi usa apparecchi ortodontici e ha ponti o impianti: si tratta del classico filo interdentale che presenta però una parte esterna rigida, usata per infilare l’estremità, e una più spugnosa e densa.


Conseguenze del diabete sui denti

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Quando si pensa ai denti e ai problemi che li riguardano, si tende a considerarli come avulsi dal resto dell’organismo, come se le patologie che li interessano dipendessero esclusivamente dalle condizioni relative alla bocca.

In realtà quest’idea molto diffusa è profondamente sbagliata, dal momento che se spesso la gengivite e le carie dipendono dalla cattiva igiene orale. Altrettanto frequentemente le affezioni del parodonto, ovvero dei tessuti di sostegno del dente, sono strettamente legate ad altre condizioni sistemiche o patologie.

La letteratura è piena di studi che mostrano queste correlazioni, tra queste spicca quella con una patologia molto diffusa che è il diabete. 

Cos’è il diabete

Il diabete è una patologia metabolica che affligge una percentuale alta della popolazione mondiale. Si stima che in Italia la sua prevalenza oscilli tra il 5,5 e il 6%, e che tenda ad aumentare con l’età, arrivando a rappresentare il 20% degli uomini e il 15% delle donne tra i 65 e 74 anni.

L’instaurarsi del quadro patologico è dovuto ad un’insufficiente attività dell’insulina, un ormone fondamentale nel metabolismo degli zuccheri che viene prodotto dal Pancreas.

Esistono diversi motivi per i quali l’insulina non svolge la sua funzione fisiologica come dovrebbe, più specificamente può succedere che l’insulina non sia prodotta in quantità sufficiente, che sia prodotta, ma non debitamente utilizzata, o possono verificarsi entrambe le situazioni.

Caratteristica tipica del diabete è l’iperglicemia, vale a dire un aumento della concentrazione di glucosio nel sangue che si verifica a seguito del suo mancato assorbimento. Questo porta ad una serie di complicanze, che possono essere

  • arteriosclerosi, e danni del microcircolo (motivo per cui molti diabetici hanno problemi retinici e neurologici), maggiore predisposizione a cardiopatie, ad ictus e infarto
  • maggiore predisposizione ad infezioni, in particolare candidosi
  • demenza
  • cecità
  • renali (poliuria, insufficienza renale)
  • disfunzione erettile
  • maggiore predisposizione a subire amputazioni
  • parodontali

Diabete e parodontite

La parodontite è considerata una delle complicanze più frequenti del diabete, addirittura si stima che un diabetico abbia una probabilità di ammalarsi di paradontite di 2-3 volte maggiore rispetto alla popolazione sana. Questo è dovuto ad un’alterata capacità dell’organismo di reagire alle infezioni batteriche da parte degli organismi del cavo orale dovuta a diversi fattori, tra cui:

  • Alterazione del microcircolo
  • Alterata sintesi del collagene, e quindi della guarigione
  • Alterato metabolismo osseo
  • Alterazione del biofilm batterico: l’iperglicemia infatti tende a favorire la proliferazione di batteri patogeni per la bocca
  • Alterazione dell’attività immunitaria

Tuttavia, se appare anche conseguenza logica che dal diabete possa dipendere lo sviluppo di malattia parodontale, meno intuitivo e assolutamente interessante è la possibilità che sia anche la parodontite ad incidere sul diabete. Esistono diversi studi in letteratura che suggeriscono questa doppia correlazione tra le due malattie, secondo cui un controllo della malattia parodontale aiuterebbe a controllare più efficacemente il diabete. 

Cosa deve fare il paziente diabetico

Un soggetto diabetico oltre a dover tenere sotto controllo l’iperglicemia, osservando la terapia del diabetologo e naturalmente una corretta dieta, ha necessità di tenere costantemente sotto controllo lo stato di salute del cavo orale per prevenire il più possibile l’insorgenza di malattia parodontale.

Un paziente diabetico deve, quindi:

  • lavare accuratamente i denti dopo ogni pasto
  • utilizzare scovolino o filo interdentale per eliminare eventuali residui di cibo
  • ispezionare regolarmente lo stato di salute delle proprie gengive allo specchio
  • fare molta attenzione al sanguinolento gengivale, importante indice di infiammazione parodontale
  • pianificare un trattamento con un parodontologo
  • assolutamente non fumare, il fumo è un fattore di rischio importante sia nel diabete, sia nella parodontite.

Inoltre per prevenire le complicazioni legate al cavo orale e al diabete stesso, è essenziale tenere sotto controllo il livello di glicemia nel sangue con l’assunzione di farmaci e tenendo un corretto stile di vita.

Cure odontoiatriche e diabete

I protocolli terpaeutici odontoiatrici per le persone diabetiche non sono molto diversi rispetto a quelli messi in pratica per i pazienti sani. Tuttavia è importante pianificare con attenzione gli orari degli interventi, soprattutto quando si ha a che fare con pazienti insulino-dipendenti, per non interferire con gli orari dei pasti al fine di scongiurare episodi di ipoglicemia.

Inoltre nel caso in cui un paziente diabetico debba sottoporsi a un intervento di chirurgia orale (implantologia dentale, estrazione di un dente) è importante predisporre una terapia antibiotica per minimizzare la possibilità di complicanze infettive che nei pazienti diabetici risultano essere più aggressive.

In ogni caso prima di un qualsiasi trattamento odontoiatrico è indispensabile avvisare il dentista della presenza del diabete, di come viene trattato e se la glicemia nel sangue viene tenuta efficacemente sotto controllo.

Rigenerazione ossea dentale, cos’è

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Di solito la rigenerazione ossea è un intervento preliminare o contestuale al posizionamento di un impianto dentale per permetterne l’inserimento. In altri casi è un intervento volto a rigenerare l’osso perso attorno al dente a causa della parodontite.

Nel primo caso alcuni pazienti non hanno la quantità d’osso minima indispensabile per posizionare gli impianti dentali garantendone una corretta estetica e stabilità nel tempo. In questi casi aumentando l’altezza o lo spessore dell’osso mascellare è possibile preparare un sito implantare adeguato.

Nel secondo caso alcuni pazienti predisposti alla malattia parodontale possono perdere l’osso in modo tale che però può essere rigenerato. Questa possibilità terapeutica è in realtà piuttosto rara e dipende da una serie di fattori.

Quando si verifica perdita di osso

La riduzione delle ossa mascellari è dovuta a un naturale processo che inizia quando uno o più denti vengono persi. Infatti un dente finché è presente in arcata contribuisce con la sua funzione ed in particolare col il legamento parodontale al mantenimento del volume osseo.

Estrazione dentale

Dopo un estrazione, in assenza della radice del dente, i tessuti tendono a ridursi ed in particolare l’osso diventa più sottile e si riduce in altezza. In termini più tecnici si ha un riassorbimento osseo sia orizzontale che verticale.

Nei tre mesi subito successivi all’estrazione si ha la maggior parte del riassorbimento. Si perde infatti circa il 25 per cento dell’osso. Ecco perché soprattutto in zona estetica sugli incisivi anteriori, in caso di estrazione, si mettono in atto manovre rigenerative come la Socket Preservation atte a limitare questo riassorbimento e a preservare il più possibile l’osso alveolare. Tale riassorbimento, dopo la fase iniziale, continua più lentamente negli anni a seguire. 

Per questo motivo se dopo la caduta di un dente si decide di sostituirlo con un impianto dentale è consigliabile non far passare molto tempo per evitare che siano compromesse l’estetica, la funzione e la fisionomia del paziente.

Parodontite ed osteoporosi

Oltre a questa evenienza le ossa mascellari possono ridursi anche a causa della parodontite e più raramente dell’osteoporosi.

La parodontite nella maggior parte dei casi determina un riassorbimento osseo orizzontale attorno ai denti. In questo caso l’osso si abbassa attorno a tutti i denti scoprendo le radici come potrebbe fare una bassa marea con i piloni di un pontile. Quando questo succede non si può mai rigenerare l’osso perso.

In alcuni casi però, quando la malattia parodontale è più grave, il riassorbimento attorno al dente ha una forma irregolare. Si parla in questi casi di riassorbimento osseo verticale. Quando l’osso che si riassorbe attorno ad un dente ha quindi la forma di una cavità contenitiva è possibile rigenerare l’osso perso. Quanto più è contenitivo il deficit osseo tanto più il coagulo insieme al materiale innestato sarà stabile e si potrà avere una rigenerazione efficace e predicibile.

Come può essere rigenerato l’osso

Il riassorbimento dell’osso dentale può essere contrastato agendo con tecniche rigenerative che mirano ad aumentarne il volume. Le ossa mascellari possono essere rigenerate sia utilizzando osso autogeno sia bio-materiali.

L’osso autogeno, cioè prelevato dal paziente stesso, è l osso migliore per ottenere una rigenerazione ossea in quanto è ricco di fattori di crescita presenti naturalmente nell’osso stesso. 

I bio-materiali vengono utilizzati soprattutto quando l’innesto interessa zone meno estese. 

I biomateriali spesso si utilizzano insieme all’osso autogeno. Da un lato i biomateriali limitano il riassorbimento naturale che si ha nelle fasi di guarigione e stabilizzano il coagulo facendo da mantenitore di spazio (per intenderci), dall’altro l’osso autogeno stimola la formazione di nuovo osso grazie alle sue capacità osteoinduttive.

Rigenerazione ossea e parodontite

La rigenerazione ossea può anche essere utilizzata con successo nel trattamento della parodontite. Questo vale quando abbiamo la presenza di tasche con una forma tale da poter contenere in modo stabile coagulo, che è la condizione necessaria per poter ottenere una buona rigenerazione.

Oggi per indurre la formazione di nuovo osso e nuovo legamento parodontale intorno ai denti si usa un gel a base di amelogenine che agiscono – per intenderci – come agirebbero delle cellule staminali. In questi casi viene ripristinata correttamente la struttura ossea scomparsa attorno ai denti a causa della malattia parodontale, evitando in molti casi la perdita di questi ultimi.

L’osso ha bisogno di tempo per rigenerarsi. In linea di massima il completamento del processo fino alla completa mineralizzazione ha bisogno di 6 mesi / 1 anno.

Post intervento

L’intervento di rigenerazione ossea non è doloroso perché fatto in anestesia locale. Per agevolare la guarigione dopo l’intervento è importante seguire le direttive del dentista con molta attenzione. In particolare:

  • seguire una dieta semiliquida
  • evitare bevande e alimenti troppo caldi che fanno sanguinare
  • utilizzare uno spazzolino con setole morbide per l’igiene dentale domiciliare
  • fare sciacqui con un colluttorio antibatterico a base di clorexidina per il tempo indicato dal dentista almeno fino alla rimozione dei punti
  • non bere alcolici per alcuni giorni
  • non fumare

Tutte le infezioni del cavo orale

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Saremmo sorpresi di scoprire l’invisibile e numerosa popolazione di germi che abitano nella bocca. Una popolazione costituita da protozoi, miceti, virus e soprattutto batteri: più di 300 tipi diversi. Nessuna sorpresa, il cavo orale rappresenta un ecosistema complesso, in cui l’equilibrio tra questi microrganismi determina costantemente lo stato di salute della bocca.

È inoltre noto come molti di essi siano correlati a condizioni patologiche che interessano anche altri organi, oltre alla bocca, un esempio è la correlazione di alcuni batteri orali con il cancro dell’intestino o con l’arteriosclerosi. È quindi intuibile come questi microrganismi possano facilmente dar luogo anche ad infezioni del cavo orale, qualora abbiano la possibilità di replicarsi in condizioni favorevoli.

Di seguito, una breve trattazione delle infezioni della bocca più comuni, di come vanno trattate e prevenute.

Carie

L’associazione dei denti con la patologia cariosa è immediata anche per i profani dell’odontoiatria. Questo perché si tratta di una delle patologie più diffuse al mondo e probabilmente di una tra le più fastidiose e insidiose. Il principale responsabile della carie è un batterio: lo Streptococco Mutans.

In condizioni favorevoli, inizia a replicarsi attivamente, nutrendosi di zuccheri, ampiamente disponibili nella saliva e fortemente condizionati all’alimentazione, e producendo sostanze acide, l’ambiente acido che ne consegue causa la demineralizzazione dello smalto, e quindi la carie, che progredisce fino al raggiungimento della polpa del dente da parte dei batteri, con conseguente sintomatologia pulpare e necrosi del dente.

Ascesso odontogeno e granuloma

A questo punto quella che era un’infezione superficiale, se non trattata, interessa la parte vitale del dente, determinando un’infezione del parodonto apicale, vale a dire la zona che circonda l’apice della radice, dando luogo ad un ascesso o ad un granuloma, a seconda che l’infezione si acutizzi o cronicizzi.

I batteri di questo tipo di infezione sono per lo più piogeni, e possono causare una sintomatologia molto violenta, con ascessi, flemmoni, febbre fino a complicanze più severe. Sono addirittura riportate in letteratura ascessi cerebrali legati ad infezioni orali. Per questo motivo in questi casi è necessaria la terapia canalare o l’estrazione del dente interessato.

Gengivite e Parodontite

Gengivite e parodontite sono infiammazioni che interessano i tessuti gengivali e/o parodontali dovute alla risposta dell’organismo all’azione dei batteri parodontopatogeni che possono essere presenti in tipologie e percentuali variabili da paziente a paziente.

L’interazione tra i batteri e la risposta immunitaria (a sua volta influenzata da fattori ambientali, genetici, farmaci…) determina la gravità della malattia, la quale, se si limita a coinvolgere le gengive, è denominata gengivite, quando invece coinvolge le strutture di supporto del dente, è denominata parodontite, ben più severa perché può portare alla perdita del dente stesso.

In genere per la gengivite è sufficiente sottoporsi ad una buona seduta di igiene orale, mentre la parodontite prevede un approccio più complesso.

GUNA

Meno frequente, la gengivite ulcero necrotica acuta, è una condizione di necrosi della gengiva marginale, caratterizzatoa da sintomatologia algica spiccata, che può o meno coinvolgere anche il parodonto profondo, causata da batteri molto aggressivi, per lo più streptococchi e actinomiceti, si verifica in pazienti debilitati, soprattutto oncologici o immunodepressi e necessita di terapia antibiotica sistemica.

Infezioni da miceti

La candidosi orale è un’infezione micotica della bocca molto diffusa. Particolarmente frequente nella prima infanzia, dove si presenta con piccole placche bianche e dense situate su lingua, palato, gengive e guance a cui si accompagnano dolore o bruciore (mughetto).

È dovuta all’azione del fungo candida albicans, un saprofita normalmente commensale nella nostra bocca, che tende a proliferare quando si verifica un abbassamento delle difese immunitarie. Si manifesta con chiazze bianche o rosse edematose (in tal caso spesso urenti).

La terapia prevede l’assunzione di farmaci antimicotici che nel giro di pochi giorni riescono facilmente a eliminare il problema.

Scialodochite e scialoadenite

Si tratta dell’infiammazione rispettivamente del dotto salivare e della ghiandola salivare dovuta soprattutto a stafilococchi e streptococchi.

La scialodochite è molto più frequente per il più facile traumatismo del dotto, si manifesta tipicamente con edema e arrossamento, la comparsa di un tappo fibroso (giallastro) al livello del dotto, con fuoriuscita di saliva più densa, formazione di calcoli salivari (scialolitiasi) e ostruzione del dotto. La fase purulenta vede la comparsa di un dolore più violento e di essudato purulento (pus).

Se l’infezione procede per via retrograda può dare seguito ad una scialoadenite, coinvolgendo quindi la ghignadola. È bene non sottovalutare questo tipo di infezioni, e non somministrare una terapia antibioticaca (necessaria) di propria iniziativa. Tal volta, soprattutto in presenza di calcoli, si rende indispensabile il trattamento chirurgico.

Infezioni della mucosa orale

A differenza di quelle che interessano denti e gengive, le infezioni della mucosa del cavo orale sono dovute principalmente all’azione di virus e funghi.

Stomatite erpetica

Si tratta di un’infezione causata da un virus, l’Herpes Simplex 1, il quale è neurotropo, vale a dire che si replica nei gangli nervosi. Una volta data la prima manifestazione, detta stomatite erpetica primaria, generalmente bilaterale, si annida nei nervi di un lato della faccia, manifestandosi soprattutto in periodi di abbassamento delle difese immunitarie.

Dà luogo a delle vescicole dolorose che guariscono spontaneamente in una/due settimane. Le vescicole, generalmente raggruppate, sono localizzate sulle labbra, lingua, palato e si manifestano nel territorio di innervazione del nervo in cui risiede il virus.

Nonostante sia più raro, l’interessamento può essere anche oculare, inoltre l’infezione può dar luogo ad una vera e propria nevralgia. La terapia è palliativa, e prevede soluzioni lenitive e antinfiammatorie.

Papilloma

Si tratta di un’escrescenza dovuta ad una proliferazione della mucosa, del tutto simile alla verruca, che invece si sviluppa sulla cute, causata da un virus, l’HPV, lo stesso responsabile del carcinoma della cervice uterina. Si tratta di una formazione benigna, la quale tuttavia, in una percentuale di casi può evolvere in carcinoma.

La trasmissione avviene per contatto e d è prevalentemente sessuale. Per questo motivo è sempre necessario bioptizzare ed analizzare il papilloma per escludere siereotipi virali pericolosi, inoltre dal momento che l’incidenza dell’infezione aumenta nei soggetti con un comportamento sessuale promiscuo, è fondamentale l’uso di profilattici e fortemente consigliato il vaccino.

Prevenzione delle infezioni del cavo orale

Al termine di questa breve trattazione delle principali infezioni della bocca, appare evidente la varietà di microrganismi coi quali dobbiamo confrontaci. Per questo è fondamentale mantenere una buona igiene orale, al fine di limitare la carica batterica e sottoporsi periodicamente a dei controlli odontoiatrici, al fine di intercettare eventuali problemi in una fase precoce.

Quali danni provocano i piercing ai denti e come risolvere i problemi causati

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Non è difficile ritrovarsi, durante una visita di controllo, di fronte a denti rovinati dai piercing. Questi elementi decorativi si applicano alle labbra o alla lingua, in alcuni casi si può inserire anche un brillantino sullo smalto. Ma tutto questo può provocare anche seri danni alla bocca.

E in particolar modo ai denti. Il motivo principale: il metallo di questi elementi decorativi risulta un elemento estraneo nel cavo orale e la presenza di questi elementi può portare a uno sfregamento continuo. O a traumi improvvisi. Ma cosa succede ai denti rovinati dai piercing?

Perché si mettono i piercing in bocca?

Quella delle modifiche del corpo con l’innesto di corpi estranei è una tradizione che affonda le radici in culture ancestrali. Da sempre l’uomo ha modificato il proprio corpo per motivi culturali, social ed estetici. Tra le popolazioni africane, infatti, ci sono etnie che limano i denti per renderli simili a quelli degli animali feroci. Altre invece seguono la pratica del disco labiale.

disco labiale
Un esempio di disco labiale, fonte Wikipedia.

Vale a dire uno spessore che si inserisce in un foro situato sul labbro superiore o inferiore che indica importanza e/o appartenenza social. Oggi, chiaramente, nella nostra società queste modifiche del corpo perdono il valore culturale delle diverse etnie e diventano fenomeno di moda. Che può lasciare anche danni evidenti ai denti che puoi scoprire nei prossimi paragrafi.

Quanti tipi di piercing si possono inserire?

denti rovinati dai piercing

Oltre al classico brillantino ai denti, che comunque ha i suoi rischi e controindicazioni, tra i piercing comuni oggi abbiamo quello alle guance, alla lingua e alle labbra che possono essere inferiori o superiori.

La differenza riguarda anche la posizione che può essere centrale o laterale. Nell’immagine, presa sempre da Wikipedia, è possibile avere uno schema chiaro di queste soluzioni.

Tra i piercing più comuni abbiamo il famoso Medusa, vale dire situato al centro del labbro superiore, o labret che si pratica sempre al in area centrale ma sull’elemento inferiore.

Questi, inoltre, possono essere dilatati per inserire il disco labiale o il Tembetá, una sorta di tappo di dimensioni ridotte rispetto al precedente che viene chiamato anche plug tra gli appassionati di piercing.

Altro elemento molto comune, oggi, è lo smiley. Vale a dire un piercing effettuato attraversando con una barra o un anello il frenulo labiale superiore. Ovvero quel lembo di tessuto molle che unisce la gengiva con l’area interna del labbro. Come suggerisce il nome, questo piercing si nota solo quando si sorride. Chiaramente potrebbero esserci altre soluzioni che non sono state inserite nella lista ma di sicuro questi sono i principali elementi per decorare il cavo orale.

Denti rovinati dai piercing: in che modo?

Aggiungere un altro anello o una barra: può essere una buona idea? In primo luogo bisogna tener presente che questa può essere considerata una vera e propria attività chirurgica.

I primi problemi potrebbero arrivare da infezioni e malattie trasmesse a della scarsa igiene del luogo in cui viene fatto il piercing. Ma dipende sempre dal luogo e dall’attività presso la quale si effettua l’operazione. Quali sono i problemi che potrebbero causare sofferenza ai denti?

Recessione gengivale

Si tratta di un processo che porta le gengive a ritirarsi a causa di un contatto continuo e prolungato con il metallo chirurgico del piercing. Anche se è fatto con un materiale asettico, l’anello o la barra rappresenta un elemento estraneo nella bocca. Quindi, labret e piercing medusa rovinano i denti nel momento in cui toccano le gengive e ne provocano il ritiro.

Lesioni ai denti

Qui possiamo elencare tutto ciò che comporta fratture, erosioni e scheggiature che si possono verificare sullo smalto. I denti rovinati dai piercing possono presentarsi con lesioni evidenti a causa di un urto violento, come ad esempio cadute o impatti non preventivati. Le labbra vengono usate per proteggere i denti da queste situazioni (sono una sorta di paradenti naturale).

Ma se ci sono dei piercing ci possono essere dei traumi. Lo stesso vale anche per tutto ciò che riguarda l’erosione costante del metallo sullo smalto: anche se non si presentano denti scheggiati, il piercing può rovinare lentamente lo smalto fino a provocare danni evidenti.

Terapie per i denti rovinati dai piercing

In primo luogo, il dentista può suggerire di togliere il piercing per eliminare l’elemento che genera traumi ai tessuti molli e allo smalto. Inoltre si possono attivare varie terapie per risolvere problemi che possono andare dall’inserimento di faccette dentali per ovviare problemi estetici (tipici di uno sfregamento metallico) fino a vere e proprie ricostruzioni.

Con denti scheggiati o fratture si possono attivare terapie canalari per devitalizzare. Nel caso in cui si presenti una recessione gengivale grave il dentista può procedere con una ricostruzione, in ogni caso il primo obiettivo è quello di eliminare il piercing per evitare che il problema si aggravi.

Come lavare i denti fuori casa e curare sempre la tua igiene orale

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Spesso, quando ricordiamo ai nostri pazienti l’importanza dell’igiene orale costante durante il giorno, soprattutto dopo i pasti, ci chiedono come lavare denti fuori casa. Perché è facile rispettare le regole quando sei a un passo dal bagno con tutti i tuoi strumenti personali. Ma cosa accade quando devi lavarti i denti al lavoro? O quando sei in viaggio?

Nessun problema, è possibile risolvere ogni situazione nel miglior modo possibile. Oggi i. Nostri presidi domiciliari sono molto poco voluminosi, e quindi facilmente trasportabili, altrimenti esistono diversi kit da viaggio per ligiene orale e prodotti pensati per essere sempre al fianco di chi vuole curare la pulizia dello smalto anche quando non ha a disposizione il proprio spazzolino. Per continuare a lavare i denti in modo corretto e combattere la carie.

Quando conviene lavare i denti?

Anche quando si lavora fuori casa, o per i più piccoli si frequenta la mensa della scuola, le regole non cambiano: dobbiamo lavare i denti tre volte al giorno. Per questo motivo è molto importante avere con sé tutto il necessario per prendersi cura dell’igiene orale fuori casa.

Come lavarsi i denti in ufficio

La soluzione migliore, in questi casi, è avere uno spazio nel bagno del personale che puoi riservare a spazzolino, dentifricio, lo scovolino e il filo interdentale. Molti uffici mettono a disposizione dei dipendenti un’area riservata: in questo modo non cambia niente rispetto alle tue abitudini casalinghe. Come fare in questi casi? Semplice, acquisti un kit da viaggio, con le caratteristiche consigliate dal tuo dentista.

Sono degli astucci o borselli che comprendono tutto quello che ti serve. Puoi acquistare questi prodotti su Amazon, in farmacia o parafarmacia, trovi sia quelli economici che i modelli più costosi e sofisticati. Oggi la tecnologia ci viene incontro fornendoci spazzolini da viaggio elettronici. Magari con spazzolino elettrico da viaggio. L’importante è che rispetti le caratteristiche consigliate dal tuo dentista. Una volta acquistato lo lasci nello zaino o in borsa e hai sempre il tuo presidio di igiene orale con te.

Curare l’igiene orale in viaggio

Per chi si sposta spesso e ha bisogno di lavarsi i denti in stazioni, aeroporti e stazioni di servizio non c’è nulla di meglio del già citato kit da viaggio. Può capitare, però, di ritrovarsi in hotel e scoprire che nella valigia manca l’occorrente. Come fare? Basta ricordare che spesso le portinerie danno dei set che comprendono spazzolino e dentifricio. Possono bastare per lavare i denti prima di andare a dormire e al risveglio, subito dopo puoi comprare tutto ciò che ti serve in una qualsiasi farmacia.

Gomme da masticare: aiutano?

Situazione d’emergenza: non hai la possibilità di usare tutto il necessario per lavare i denti. Manca tutto? Acquista e mastica gomme allo xilitolo, aiutano a combattere i batteri che causano la carie.

Come sostiene l’Organizzazione Europea per la Ricerca sulle Carie (Orca), questo edulcorante vegetale derivato dalla corteccia di betulla e faggio può aiutare a prevenire problemi di igiene orale. Quindi può essere usato, in forma di confetti da assumere, dopo i pasti nel momento in cui non ci sono le possibilità di procedere con dentifricio e spazzolino. Attenzione, lo xilitolo non riesce ad essere efficace come lo spazzolamento quindi facciamo in modo da non farlo diventare un abitudine. 

Lavare i denti senza dentifricio

Situazione diversa: manca solo la pasta dentifricia mentre hai a disposizione il tuo spazzolino. Come fare? Semplice, diversi studi clinici attestano che spazzolare i denti anche senza dentifricio ma con le setole bagnate è comunque efficace.

Per sopperire a questa mancanza spesso si suggerisce di usare un po’ di bicarbonato, o altre soluzioni fai da te. Consigliamo di evitare i classici rimedi casalinghi perché potrebbero rovinare lo smalto: se non ci sono consigli specifici dati dal nostro dentista è meglio usare lo spazzolino con setole medie, bagnato, e senza aggiungere altro.

Coronavirus: si può andare dal dentista?

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Posso andare dal dentista durante la pandemia COVID-19? Quali sono le condizioni per richiedere aiuto in questa fase 2? È pericoloso? Ecco tutto quello che devi sapere.

Il Ministero della Salute, guidato dalle società scientifiche odontoiatriche ha stabilito delle semplici regole da seguire per chi deve rivolgersi al dentista. In passato abbiamo già parlato di regole della prevenzione Coronavirus dal dentista. Ora qualcosa è cambiato.

Urgenze ed emergenze

In questo periodo lo Studio Dentistico Cozzolino è aperto per urgenze ed emergenze

Innanzitutto bisogna fare delle precisazioni. Durante il periodo di lockdown, detto anche FASE 1 della pandemia COVID-19, era possibile andare dal dentista solo per le emergenze e le urgenze.

Per evitare al massimo il rischio di contagi, è stato possibile garantire solo le prestazioni necessarie. Cioè prestazioni indifferibili, per evitare di peggiorare condizioni di salute o per intervenire in caso di dolori insopportabili.

Andare dal dentista nella fase 1

Durante la fase 1 è quindi stato possibile rivolgersi al dentista solo per emergenze e urgenze come:

  • Dolori acuti.
  • Infezioni.
  • Ascessi gengivali.
  • Traumi.

Le cure del dentista possono essere equiparate a quelle di altri specialisti della salute individuale. Di conseguenza esistono attività rimandabili e altre che devono essere eseguite. Altrimenti possono causare sofferenze e problemi importanti.

Le emergenze sono sempre tutelate perché rappresentano un punto fondamentale per la cura dell’individuo. Il servizio odontoiatrico rientra tra i servizi di pubblica necessità. 

Durante la fase uno le precauzioni sono state molte, l’uso di dispositivi di protezione individuale è stato rigidamente regolato e i protocolli da seguire sono stati stringenti. 

Dentista e fase 2 della pandemia

Con la fase 2 è di nuovo possibile andare in tranquillità dal dentista. Cosa è cambiato? A seguito della pandemia si sono rivisti i protocolli di sanificazione e sterilizzazione per lavorare in sicurezza. 

Il Ministero della Salute in collaborazione con un team di esperti ha fornito le indicazioni operative per l’attività odontoiatrica durante la fase 2. Il documento appena pubblicato si intitola “Indicazioni operative per l’attività odontoiatrica durante la fase 2 della pandemia COVID-19”

Nel documento – particolarmente corposo – vengono descritti i protocolli da seguire e i comportamenti necessari per garantire la sicurezza a pazienti e dentisti.

Procedure di sanificazione dal dentista

Le procedure di sanificazione non sono cambiate molto. Già prima dell’emergenza COVID erano eseguite in modo efficace dopo ogni paziente. Sono cambiate alcune regole da seguire ed alcuni dispositivi di protezione individuale. Per quanto riguarda la sopravvivenza del virus, le linee guida recitano:

I coronavirus della SARS e della MERS sono efficacemente inattivati da adeguate procedure di sanificazione che includano l’utilizzo dei comuni disinfettanti di uso ospedaliero, quali ipoclorito di sodio (0.1% -0,5%), etanolo (62-71%) o perossido di idrogeno (0.5%), per un tempo di contatto adeguato

Fase2: posso andare dal dentista?

Si può andare dal dentista nel caso in cui non sussistono problemi individuali legati alla trasmissione del virus come febbre al di sopra dei 37,5 gradi, raffreddore, tosse, difficoltà respiratorie subentrate negli ultimi 14 giorni.

Inoltre non si deve essere stati a contatto con persone con questi sintomi o con individui infetti. Lo studio dentistico che segue le linee guida dettate avrà cura di avere:

Un livello di attenzione costante ed adotterà sempre le norme preventive di igiene, disinfezione e sterilizzazione, ed indossando i mezzi barriera protettivi personali.

È molto importante gestire l’agenda in maniera consapevole e intraprendere: “qualsiasi azione che non favorisca la formazione di assembramenti, ad esempio di entrare e uscire ad orari scaglionati”.

Cosa bisogna fare per la sicurezza?

Gli attuali protocolli consentono di mantenere gli standard di sicurezza necessari per affrontare al meglio le terapie odontoiatriche. Le regole suggerite dal Ministero della Salute suggeriscono una serie di punti che abbiamo riassunto.

Ecco un’infografica per mostrare in maniera chiara e veloce gli step che vengono seguiti per ogni paziente e per ogni operatore:

Posso andare dal dentista durante la pandemia COVID-19
Posso andare dal dentista durante la pandemia COVID-19?

Contenere rischio COVID-19 dal dentista

Sempre secondo il nuovo documento diffuso dall’ordine dei medici, tutti i pazienti in sala d’attesa indosseranno una mascherina in questa fase 2 della pandemia e una volta in sala e seduti sulla sedia faranno un doppio sciacquo

  • Un primo sciacquo con una soluzione all’1% di Perossido di idrogeno.
  • Un successivo sciacquo con collutorio alla Clorexidina 0.2-0.3% per 1 minuto.

Questo doppio sciacquo ha un effetto battericida. Ovviamente i processi da osservare per lo studio dentistico sono ben più importanti e numerosi. 

Lo studio dentistico si preoccupa di effettuare molte operazioni anche in fase di pre-terapia, post-terapia e preparazione dell’area, come una adeguata pianificazione sopra citata, che: “può prevedere anche una eventuale dilatazione dei tempi della prestazione“.

Prevenire è meglio che curare

È importante puntare sulla prevenzione. In primo luogo devi lavare i denti 3 volte al giorno, e comunque dopo aver mangiato, con una particolare attenzione all’uso del filo interdentale e del collutorio. 

Inoltre, proprio in relazione all’emergenza COVID-19, è indispensabile mantenere isolati i dispositivi di igiene orale come ad esempio lo spazzolino.

Gengive ritirate: come curare i colletti dei denti scoperti

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I colletti dei denti scoperti sono uno dei problemi tipici dei nostri pazienti. Questa condizione  si presenta soprattutto su canini e incisivi dell’arcata superiore e inferiore, anche se questo problema può presentarsi in qualsiasi posizione. Da cosa dipende? Che sia iniziato un processo che condurrà a perdere i denti a causa della parodontite?

Chiaramente è difficile fare una diagnosi immediata, senza conoscere la condizione del paziente. La risposta a questa domanda dipende da caso a caso, per questo motivo è sempre opportuno che si effettui una pulizia professionale ogni sei mesi con visita di controllo. Detto questo, esiste un rimedio ai colletti dentali scoperti? Affrontiamo il problema dalle prime definizioni utili.

Scopri tutto sulla parodontite!

Cos’è la recessione gengivale (o parodontale)

I colletti dei denti scoperti è l’effetto di un processo che, tecnicamente, viene definito come recessione gengivale. Ovvero un processo che porta allo spostamento apicale del tessuto molle a causa, soprattutto, di un errato spazzolamento, per tale motivo sono dette recessioni da spazzolamento scorretto. Come previsto, questo fenomeno si osserva soprattutto sulla massima curvatura dell’arcata dentaria.

Questo perché nella zona in questione abbiamo radici meno protette, quindi esposte all’azione dello spazzolamento. Spesso si assiste a gengive che si ritirano soprattutto nella emiarcata sinistra (superiore e inferiore) per i destrorsi e destra per i mancini: ciò è dovuto a una maggior comodità nello spazzolamento, con relativa distribuzione della forza nel momento in cui si lavano i denti.

Non si deve confondere la recessione da spazzolamento scorretto dalla recessione parodontale. Infatti il ritiro delle gengive dovuto a parodontite è un processo in grado di coinvolgere tutto il tessuto parodontale, quindi: osso, gengiva, legamento e cemento radicolare.
In questi casi la recessione non riguarda solo la radice vestibolare, quindi la parte esterna del dente, ma anche la gengiva e l’osso tra dente e dente. In questi casi si evidenzieranno fastidiosi buchi neri tra i denti dovuti alla mancanza delle papille gengivali.

Mentre le recessioni da spazzolamento scorretto non provocano perdita dei denti ma solo un problema estetico ed un aumento della sensibilità al freddo e caldo, le recessioni parodontali portano nel tempo a denti che si muovono, allungamento dei denti fino alla perdita dei denti

Cause dei colletti dentali scoperti

Le cause dei colletti dentali scoperti sono sostanzialmente due. La prima è già stata enumerata e riguarda l’utilizzo scorretto dello spazzolino, ma la seconda affronta quello che è uno degli argomenti più importanti nel nostro settore: la parodontite. Come riconoscere e distinguere i casi?

Chiaramente una visita dal parodontologo può dare la risposta. Una recessione in caso di assenza di infiammazione dei tessuti circostanti cioè quando la gengiva è rosea e le papille sono intatte  dipende molto spesso dall’uso scorretto dello spazzolino da denti.

In caso contrario, quindi in presenza della già citata infiammazione gengivale, la condizione di recessione potrebbe essere legata a un caso di parodontite.  In questo caso l’intervento di uno specialista parodontologo è la strada da seguire senza perdere tempo.

Recessioni: parodontite o spazzolamento scorretto?

Le recessioni da spazzolamento scorretto, in linea generale, riguardano la parte esterna del dente e le papille tra dente e dente sono intatte, in linea di massima. Nella parodontite, come abbiamo già detto, vediamo degli spazi o buchi neri tra i denti per la perdita delle papille tra dente e dente e la gengiva risulta spesso rossa e sanguinante per l’infiammazione.

La parodontite a differenza dello spazzolamento scorretto interessa l’intera circonferenza del dente e quindi anche la gengiva e osso interdentale.

Con la parodontite se non si controlla avremo una graduale perdita di osso attorno ai denti che porterà alla mobilità dei denti fino alla loro perdita.

Sintomi e conseguenze delle gengive scoperte

Il primo sintomo che deve allarmarti è quello estetico: ti sembrerà di avere i denti più lunghi perché la gengiva si è ritirata ed emerge una parte di dente che prima era scoperto. Questo comporta un altri elemento: maggiore sensibilità al caldo, al freddo, ai cibi zuccherati e acidi. Questo fino ad arrivare a uno stato di dolore del paziente.

Rimedi e cure per i colletti dentali scoperti

Per risolvere il problema della gengiva ritirata e del colletto dentale scoperto ci sono tre strade da valutare attentamente. Ovviamente un lavoro che contempla la ricostruzione del colletto dentale è l’ultima opzione.  Le gengive scoperte sono una condizione evitabile nella maggior parte dei casi attraverso un buon uso dello spazzolino.

Quanto e come lavare i denti

Quindi, il primo rimedio per evitare le gengive esposte o il peggioramento delle recessioni è la prevenzione attraverso una buona igiene orale ed uno spazzolamento corretto. Poi ci possono essere gli interventi pianificati insieme al dentista di fiducia. Molti pazienti chiedono quanto costa la ricostruzione delle gengive prima ancora della visita, e la risposta è sempre subordinata al tipo di problema e alla procedura da seguire.

Intervento chirurgico per ricoprire i colletti dentali

La prima opzione è quella più importante dal punto di vista medico e si applica ai casi più gravi. Infatti in questo caso si riporta la gengiva ritirata all’altezza che aveva prima che si danneggiasse, facendola scorrere con un intervento chirurgico e in alcuni casi applicando anche un innesto di connettivo se bisogna anche aumentarne lo spessore.

colletti dentali scoperti, recessione gengivale,
Intervento per la ricopertura gengivale Pre-operazione a sinistra e post-operazione a destra della foto

Uso dell’otturazione colletto dentale con composito

La seconda strada è quella che riguarda da vicino un approccio conservativo e meno invasivo. Come procedere in questi casi? Si ricorre ad un otturazione in composito dei colletti dentari scoperti. L’otturazione del colletto fa male? L’operazione viene eseguita in anestesia locale, al massimo si possono essere dei piccoli risentimenti post operatori nel momento in cui passa l’effetto antidolorifico.

Questa soluzione è adatta in tutti i casi? Ovviamente no, considerato che i materiali compositi hanno la tendenza a variare cromaticamente nel tempo per l’assorbimento dei pigmenti contenuti in bevande, alimenti e fumo, il paziente può optare per un restauro più duraturo in ceramica. È comunque fondamentale che sia sempre utilizzata la diga di gomma altrimenti queste ricostruzioni potranno infiltrarsi e staccarsi nel tempo.

Faccette in ceramica per risolvere recessione gengivale

La faccetta dentale è una delle possibili soluzioni per le gengive scoperte. Questa soluzione di per sé sarebbe sufficiente a risolvere il problema, se non fosse che una faccetta come una semplice ricostruzione in composito, per quanto estetica, creerebbe un dente leggermente più lungo rispetto ai denti adiacenti.

Ne risulterebbe quindi un disagio estetico, soprattutto per i denti più visibili come quelli della zona anteriore. In questo caso la soluzione migliore è operare sia a livello della gengiva che tramite otturazione del colletto. Come puoi ben capire non esiste una risposta al come risolvere le gengive scoperte, solo il dentista può dare una risposta utile alla singola condizione.

Come rifare i colletti dentali?

Ci sono due strade, la prima è l’intervento chirurgico per riportare la gengiva all’altezza originale, la seconda è l’otturazione del colletto dentale scoperto per eliminare lo scalino.

L’otturazione del colletto fa male?

La semplice otturazione non è invasiva. Si tratta di applicare una faccetta a copertura dello scalino, quindi non è un intervento importante o comunque doloroso.

Il colletto scoperto è doloroso?

Il dolore può presentarsi sotto forma di ipersensibilità dentale, data dal fatto che la regione scoperta è priva di smalto, quindi più sensibile agli stimoli come il caldo o il freddo.

Quanto costa rifare un colletto dentale?

Il costo dell’intervento chirurgico sulla gengiva è più alto rispetto a quello dell’otturazione, per altro più semplice rispetto a quella che si pratica sulla comune carie.

Rimedi naturali per i colletti dentali scoperti

Ci sono dei rimedi per curare i colletti dentali scoperti in casa? In realtà esistono diverse voci sull’argomento, dall’uso del bicarbonato al fatto che le gengive ritirate possano ricrescere e tornare normali.

In realtà bisogna fare molta attenzione a tentare di risolvere il problema con tecniche fai da te: questa patologia deve essere affrontata da un dentista esperto parodontologo, capace di dare una cura adeguata alle esigenze del paziente. Soprattutto se il caso nasce da un problema di parodontite.

In ogni caso esistono delle soluzioni per attenuare l’infiammazione o il dolore, come l’uso di colluttori specifici, ma il consiglio è chiaro: solo un’attenta procedura di igiene orale può aiutarti ad attenuare questa patologia. Quindi affrontiamo con cura questo tema.

Migliora il modo in cui lavi i denti per prevenire la recessione

Mantenendo abitudini scorrette rispetto all’igiene orale, risolvere il problema chirurgicamente sarà inutile, perché la gengiva si ritirerà nuovamente in quanto verrà consumata nuovamente.

Sarà quindi molto importante usare lo spazzolino in modo corretto, ricordando sempre che occorre dare la classica “pennellata” muovendo le setole dalla gengiva al dente e non viceversa, con movimenti verticali e non orizzontali, secondo tecnica di Bass. In ogni caso il tuo dentista saprà consigliarti e laddove servisse, correggere le abitudini sbagliate. Che, tra l’altro, possono diventare una concausa dei denti consumati.

Come faccio a sapere se ho spazzolato male i denti?

Spesso, quando ci si lava i denti la forza che si imprime per lo spazzolamento è diversa per i due lati. Se hai i colletti dei denti scoperti solo su un lato e sai che su quel lato tendi a forzare di più con lo spazzolino, allora è probabile che sia quella la causa della gengiva ritirata (ovviamente per avere la certezza devi avere il parere del tuo dentista).

Spazzolino e dentifricio per colletti dentali scoperti?

Sì, in realtà se il problema riguarda il modo in cui si puliscono i denti puoi acquistare dei prodotti utili per evitare dolore e sensibilità. Ad esempio puoi acquistare un dentifricio capace di ridurre la sensibilità dentale, con basso quoziente abrasivo.

Soprattutto puoi usare uno spazzolino con setole medie. Ovviamente tutto questo deve essere associato a una giusta tecnica di spazzolamento. Infatti l’errata tecnica di spazzolamento è la principale causa di questo tipo di recessioni.

La soluzione: agisci tempestivamente

Il problema dei colletti dentali scoperti può essere risolto con una buona prevenzione, con un corretto uso dello spazzolino e con un adeguato intervento per la ricostruzione delle gengive o dei denti.

Il nostro suggerimento, in caso si verifichi la situazione descritta in quest’articolo, è di rivolgerti subito al tuo dentista, perché lasciando progredire il ritiro gengivale potrebbe rendersi in seguito necessaria la completa devitalizzazione del dente.

Bibliografia sulla recessione gengivale

Esthetics in periodontics and implantology.
Zucchelli G, Sharma P, Mounssif I.
Periodontol 2000. 2018 Jun;77(1):7-18. doi: 10.1111/prd.12207. Epub 2018 Mar 5. Review.
PMID: 29508445

Clinical efficacy of periodontal plastic surgery procedures: consensus report of Group 2 of the 10th European Workshop on Periodontology.
Tonetti MS, Jepsen S; Working Group 2 of the European Workshop on Periodontology.
J Clin Periodontol. 2014 Apr;41 Suppl 15:S36-43. doi: 10.1111/jcpe.12219.
PMID: 24640999

Periodontal plastic surgery.
Zucchelli G, Mounssif I.
Periodontol 2000. 2015 Jun;68(1):333-68. doi: 10.1111/prd.12059. Review.
PMID: 25867992

Surgical techniques on periodontal plastic surgery and soft tissue regeneration: consensus report of Group 3 of the 10th European Workshop on Periodontology.
Sanz M, Simion M; Working Group 3 of the European Workshop on Periodontology.
J Clin Periodontol. 2014 Apr;41 Suppl 15:S92-7. doi: 10.1111/jcpe.12215.
PMID: 24641004

Minimally invasive surgical techniques in periodontal regeneration.
Cortellini P.
J Evid Based Dent Pract. 2012 Sep;12(3 Suppl):89-100. doi: 10.1016/S1532-3382(12)70021-0. Review.
PMID: 23040341

Coronally advanced flap and combination therapy for root coverage. Clinical strategies based on scientific evidence and clinical experience.
Cortellini P, Pini Prato G.
Periodontol 2000. 2012 Jun;59(1):158-84. doi: 10.1111/j.1600-0757.2011.00434.x. Review.
PMID: 22507065

Guided tissue regeneration in gingival recessions.
Prato GP, Clauser C, Tonetti MS, Cortellini P.
Periodontol 2000. 1996 Jun;11:49-57. Review. No abstract available.
PMID: 9567956

Periodontal plastic and mucogingival surgery.
Prato GP, Clauser C, Cortellini P.
Periodontol 2000. 1995 Oct;9:90-105. Review. No abstract available.
PMID: 9567980

AUTORE: Fabio Cozzolino


Punti di sutura in odontoiatria, fa male toglierli?

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In molti casi dopo l’estrazione di un dente, l’applicazione di un impianto dentale o un altro tipo di intervento di chirurgia orale, è necessario mettere dei punti di sutura.

Spesso i pazienti danno poca rilevanza a questa fase del trattamento essendo molto più spaventati dall’intervento in sé che da una semplice sutura, in realtà ignorano che il successo di ogni intervento di chirurgia orale dipende anche dai punti di sutura, dalla corretta tecnica di sutura e dall’utilizzo del materiale appropriato.

Vediamo allora a cosa servono, quando vanno tolti e se è doloroso farlo.

A cosa servono i punti di sutura

Il compito principale dei punti di sutura è tenere accollati i lembi chirurgici nei giorni successivi all’intervento. In questa fase, infatti, la ferita ancora non è in grado di sopportare le sollecitazioni provenienti ad esempio dalla masticazione, dalla fonazione o dalla deglutizione. Di conseguenza si potrebbe aprire e così non riuscirebbe a rimarginarsi rapidamente e correttamente. Una guarigione così è più difficile ed è detta “per seconda intenzione”. In tali casi il rischio di avere la formazione di infezioni e problematiche estetiche e funzionali aumenta.

Oltre a ottenere una completa chiusura dei lembi, i punti di sutura servono a proteggere la ferita, stabilizzare i lembi nella corretta posizione, fermare il sanguinamento in modo da evitare complicazioni a seguito dell’intervento e minimizzare il discomfort post-operatorio.

Per una precisa e completa chiusura dei lembi è spesso necessario utilizzare un sistema ingrandente come il microscopio operatorio. Il diametro delle suture può variare da 3/0 (più spesse) a 7/0 (più sottili). Più la sutura è sottile più avremo precisione ed accuratezza nell’accostamento dei lembi.

Cosa fare nel post operatorio

Nel caso in cui vengano applicati punti di sutura, nelle 3 o 4 ore dopo l’intervento è bene consumare solo cibi liquidi e freddi, mentre nei giorni successivi è consigliata una dieta a base di alimenti morbidi masticando possibilmente sul lato opposto alla zona interessata dall’operazione.

Inoltre nei primi giorni devono essere evitati bevande e alimenti troppo caldi in quanto potrebbero stimolare il sanguinamento.

Altri comportamenti da abolire per evitare il pericolo d’infezione e il sanguinamento della ferita sono:

  • fumo
  • consumo di alcolici
  • toccare la ferita 

Per quanto riguarda l’igiene orale il paziente dovrà lavarsi i denti utilizzando uno spazzolino con setole morbide dopo ogni pasto e, se consigliato dal proprio dentista, fare leggeri sciacqui con un collutorio antibatterico disinfettante a base di clorexidina.

Complicazioni legate ai punti di sutura

Come abbiamo visto in alcuni casi i punti di sutura sono essenziali per una corretta e rapida rimarginazione della ferita. Tuttavia se questi vengono applicati dopo un’estrazione dentale possono diventare la causa di un’alveolite post-estrattiva.

Quando si applicano delle suture dopo un’estrazione, queste non chiudono i lembi ma servono a creare una rete che stabilizza il coagulo bloccando il sanguinamento. Questo tipo di punti deve essere rimosso dopo 24 ore, altrimenti si rischia che residui di cibo rimangano intrappolati nell’alveolo per via della rete di suture originando l’infiammazione.

Per questo motivo dopo l’estrazione del dente si cerca sempre di evitare le suture, se non strettamente necessarie.

In ogni caso se il paziente prova un dolore intenso e prolungato nella zona limitrofa interessata dall’estrazione, è bene che contatti il proprio dentista per verificare l’eventuale presenza di un’alveolite e intervenire per ripristinare le condizioni necessarie a favorire la ripresa dei processi rigenerativi. In caso di alveolite oltre ad una terapia antibiotica è importante pulire l’alveolo e farlo sanguinare al fine di proteggere le pareti con il coagulo.

Dopo quanto tempo vanno tolti

I punti di sutura possono essere riassorbibili o non riassorbibili.

Nel primo caso si tratta di una sutura che teoricamente non necessita di essere rimossa in quanto  realizzata con materiali particolari che vengono dissolti dal nostro organismo una volta che la ferita si è rimarginata. Essendo però questo un processo molto lento è sempre opportuno rimuovere i punti riassorbibili a meno che non siano posizionati all’interno del lembo.

I punti non riassorbibili invece devono essere rimossi dal dentista in media dopo 7 o 10 giorni dall’intervento. Una permanenza maggiore infatti non migliora la qualità della chiusura.

In ogni caso sarà il dentista a scegliere il tipo migliore di sutura per lo specifico caso e se necessario a indicare i tempi per la loro rimozione.

Fa male togliere i punti di sutura?

Questo probabilmente è l’aspetto che maggiormente interessa i pazienti a cui sono stati applicati i punti di sutura.

La risposta è no, togliere i punti di sutura non è doloroso tuttavia si potrebbe avvertire un leggero fastidio mentre vengono sfilati via. È fondamentale che le forbicine siano sempre affilate e che la rimozione avvenga dal proprio dentista. Infatti uno dei rischi è che se si tagliano entrambi i capi ai lati del nodo si possa lasciare un pezzo di sutura dentro al lembo e questo potrebbe creare anche un brutta infezione.

Afta, conosciamola meglio: cos’è, come guarisce e perché esce

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Molti di noi hanno sperimentato almeno una volta quella sensazione di fastidio e bruciore dovuta all’afta, che si intensifica ogni volta che ci passiamo sopra la lingua o mangiamo qualcosa. In effetti si tratta di una lesione della mucosa orale che si presenta come un’ulcerazione, dalle dimensioni variabili, ma in genere sempre più piccola di un centimetro, caratterizzata da un’area centrale biancastra, talvolta tendente al giallo, circondata da mucosa arrossata e edematosa.

Pur non essendo ben nota l’eziologia dell’afta, è comune che insorga in seguito a piccoli traumatismi della mucosa, anche se probabilmente rappresenta una comune manifestazione a problematiche diverse .Ma allora quando bisogna preoccuparsi? Le afte sono tutte uguali? Come curare le afte e sconfiggere queste fastidiose ulcere? Ecco una breve guida per conoscere un po’ meglio le temutissime macchie bianche.

Cos’è un’afta: definizione

L’origine del termine è antica – dal greco áphtha, άφθα – che vuol dire pustola, ulcerazione. In effetti questa, che in gergo medico viene definita stomatite aftosa, è proprio un’ulcera, e probabilmente rappresenta la lesione orale più diffusa, soprattutto in età pediatrica. Tipica afta sul labbro inferiore.

Afta
Tipica afta sul labbro inferiore.

Tecnicamente, da un punto di vista medico, si tratta di una lesione della mucosa che può avere cause differenti, spesso non note. Attualmente non esiste una cura per le ulcere in bocca, solo dei rimedi per contrastare il dolore e velocizzare la guarigione. Che può essere legata anche a metodi naturali.

Come si presenta un’afta?

È comune che i pazienti la indichino come “macchia bianca”, ma se la osserviamo bene, noteremo che ha una forma concava, con la parte centrale biancastra con una tonalità che varia dal bianco al giallo, dovuto alla presenza di fibrina, e i bordi intorno arrossati e edematosi, a causa dell’infiammazione.

La sua conformazione è tendenzialmente ovale o rotonda, con un diametro di circa 5 millimetri ma più raramente può presentare dimensioni anche superiori al centimetro, configurando le cosiddetta aftosi major.

Dove compaiono di solito queste ulcere?

Le afte possono presentarsi in ogni distretto della bocca, anche se tipicamente compaiono sulle guance, sulla lingua, e sulle labbra. La sede dice molto della causa, infatti sedi più atipiche, come il pavimento della bocca, il palato e la zona posteriore della bocca, devono farci supporre che possano trattarsi di manifestazioni di altre patologie. 

Le afte sono contagiose?

No, non è possibile trasmettere l’afta come avviene, invece, con l’herpes orale, e che talvolta si manifesta in maniera simile, con la differenza che in questo caso, vedremo più di un’ulceretta.

Quanto dura un’afta in bocca?

La durata media di un’afta è di una settimana, con dolore particolarmente intenso nei 5 giorni centrali. Anche il tempo di guarigione ci dice molto di un’afta. Infatti nelle affossi major le afte possono durare anche 2 settimane, inoltre in altre patologie con manifestazione simil-aftosica, le ulcere oltre ad essere molto grandi, impiegano molto tempo a guarire.

Le afte si presentano durante le mestruazioni?

Sì, le donne in procinto di avere il ciclo mestruale possono notare la comparsa di afte in bocca a causa dello squilibrio ormonale. Lo stesso può capitare nei periodi legati alla gravidanza.

Quali sono le cause di un’afta?

Ancora non esiste una spiegazione chiara sulla causa dell’afta. L’ipotesi più condivisa è che ci siano diverse cause che concorrano alla sua formazione,

  • Traumatismi (morsicature, punture, ustioni). Non è difficile riscontrare, ad esempio, tra i pugili la presenza di afte sul labbro inferiore dopo lo sparring o un incontro.
  • Infezione da parte dei batteri del cavo orale
  • Carenze nutrizionali (soprattutto di ferro, vitamina B12 e B8)
  • Stati di stress 
  • Squilibri ormonali
  • Alterazioni del sistema immunitario
  • Farmaci
  • Radio e chemioterapie
  • Intolleranze
  • Patologie infiammatorie croniche
  • Celiachia

Come si può curare un’afta

Purtroppo in genere la terapia disponibile per l’afta è una terapia palliativa, dal momento che la cura consisterebbe nella somministrazione di immunomodulatori, i cui effetti collaterali superano di gran lunga i benefici terapeutici.

Tuttavia esistono degli efficaci rimedi al dolore, come gel e spray lenitivi, spesso a base di aloe e acido ialuronico,  antinfiammatori topici, e cerotti a base di antinfiammatori steroidi che riescono ad abbreviare notevolmente i tempi di guarigione.

medicina afta
ALOVEX® Protezione Attiva Gel 8 ml.

In alcuni casi, i trattamenti farmacologici potrebbero aver avuto in realtà un effetto placebo. Nessuna terapia è curativa, e il trattamento può essere finalizzato ad alleviare il dolore, ad accelerare la guarigione e a ridurre la frequenza degli episodi di ulcerazione.

WikiPedia

Rimedi naturali e fai da te

A questi presidi è importante associare un’ottima igiene orale lavando i denti 3 volte al giorno, al fine di ridurre la carica batterica. Molto importante è anche un’alimentazione ricca in vitamine e sali minerali ed evitare cibi piccanti, acidi, troppo salati e speziati, che concorrono a stimolare la sintomatologia algica.

Rimedi naturali e fai da te per afte
Mangiare frutta e verdura aiuta a combattere le afte.

Come prevenire le afte in bocca

Se soffrite di aftosi, un buon suggerimento è osservare dei comportamenti che, insieme, potrebbero prevenire o quanto meno, limitare l’insorgenza delle odiate afte. 

In primo luogo, come già accennatol, la carica batterica gioca un ruolo importante nella patogenesi dell’afta, in quanto pur non essendo la causa primaria, rappresenta un fattore in grado di ritardare la guarigione. Per questo motivo, non portate mai le mani alla bocca e, spazzolino alla mano, lavate bene i denti e la lingua ( almeno 3 volte al dì, s’intende). 

Il secondo fattore che entra in campo, in grado di influenzare la risposta del sistema immunitario, è l’alimentazione. Frutta, verdura e frutta secca sono una fonte preziosa di sali minerali e vitamine. 

In ultimo, se avete l’abitudine di mordervi il labbro, di serrare i denti, di di masticare la guancia, queste sono tutte abitudini che determinano piccoli traumi della mucosa, che predispone all’insorgenza dell’afta e che quindi è bene evitare.

Infezione all’impianto dentale, come curare la perimplantite

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L’infezione all’impianto dentale, o perimplantite, è dovuta agli stessi agenti patogeni che causano la parodontite e rappresenta una delle principali cause della perdita dell’impianto nel tempo. 

Se diagnosticata nelle fasi iniziali è possibile porvi rimedio senza intervento chirurgico, mentre nel caso in cui l’infezione sia già arrivata a interessare l’osso che ospita l’impianto diventa indispensabile la chirurgia.

È quindi essenziale riuscire a riconoscerla in tempo e sottoporsi alle cure necessarie per risolvere il problema.

Non bisogna confondere la perdita di un impianto per perimplantite dalla perdita di un impianto nelle settimane o nei mesi subito successivi al suo inserimento. La perimplantite è un processo cronico piuttosto lento.

Perché si forma l’infezione

Nel caso in cui la perdita di un impianto si manifesti poco tempo dopo aver effettuato un intervento di implantologia dentale, quindi prima che sia avvenuta l’osteointegrazione, la probabile causa non è da ricondurre alla perimplantite e può essere:

  • l’insufficiente sterilizzazione del campo operatorio
  • il surriscaldamento dell’osso
  • la mancanza di stabilità primaria al momento del suo inserimento
  • il sovraccarico occlusale della vite implantare

La perimplantite è un infezione batterica che interessa gli impianti dentali e che può comparire anche diversi anni dopo l’intervento. A determinarla è l’accumulo di placca e tartaro e quindi una scarsa o scorretta igiene orale domiciliare associata alla mancanza di sedute di igiene orale professionale, che nei soggetti predisposti alla parodontite e quindi alla perimplantite dovrebbero avere una frequenza trimestrale.

Le principali cause di perimplantite sono:

  1. predisposizione genetica come per la parodontite
  2. corona imprecisa che determina maggior accumulo di placca attorno all’impianto
  3. mancanza del punto di contatto che determina food impaction cioè accumulo di cibo e placca tra i denti
  4. presenza di cemento sotto gengiva che viene colonizzato da batteri

Quest’ultima è probabilmente la principale causa delle perimplantiti. Per questo oggi si preferiscono protesi avvitate su impianti.

Infatti l’insorgenza della primplantite è legata alle condizioni che determinano maggior accumulo di placca e tartaro sotto gengiva.

Segni dell’insorgenza di una perimplantite

In genere l’infezione si manifesta con sanguinamento spontaneo e gonfiore della zona interessata, presenza di sapore metallico alla salivazione e per ultimo mobilità dell’impianto dentale.

La perimplantite agisce in modo simile alla parodontite, provocando riassorbimento osseo attorno agli impianti e causando l’inevitabile perdita della protesi.

Ad ogni modo l’infezione riguardante gli impianti dentali è un processo lento, le cui conseguenze più gravi come appunto la perdita dell’impianto dentale possono essere evitate mediante interventi chirurgici di rigenerazione ossea. Quando l’impianto è mobile a differenza degli elementi dentari è sempre perso.

In ogni caso se sono presenti i sintomi della perimplantite è necessario contattare immediatamente un implantologo e parodontologo esperto per una visita approfondita e degli esami radiografici. Una radiografia endorale, un sondaggio parodontale ed un esame clinico saranno sufficienti per fare diagnosi di perimplantite.

Come si cura la perimplantite

Nel caso in cui l’infezione batterica venga diagnosticata nelle sue fasi iniziali è possibile porvi rimedio con un’accurata igiene dentale professionale. Un apparecchio fondamentale per la pulizia professionale delle superfici implantari è l’AirFlow che mediante un getto di polvere sottilissima di Eritritolo che ha una granulometria di appena 14 μm permette un getto minimamente abrasivo e selettivo in grado di rimuovere efficacemente la placca attorno alla superficie dell’impianto senza alcun danno su tessuti molli e duri

Le cose si complicano un po’ se la perimplantite ha già attaccato l’osso che ospita l’impianto, in questo caso diventa indispensabile un intervento chirurgico mirato a rigenerare l’osso attorno all’impianto.

Se la situazione è molto compromessa sarà necessario procedere chirurgicamente con la rimozione dell’impianto, così da eliminare l’infezione e rigenerare l’osso che ospiterà il nuovo impianto.

Oggi esistono dei kit per la rimozione semplice e atraumatica degli impianti.

Come prevenire la perimplantite?

La migliore cura resta sempre la prevenzione.

Per evitare che possa insorgere un’infezione all’impianto dentale, il paziente deve impegnarsi in modo scrupoloso a curare la propria igiene orale domiciliare e seguire tutte le indicazioni del chirurgo. Al termine di un intervento di implantologia infatti, il paziente riceverà una breve guida in cui sono elencati i comportamenti corretti da mantenere sia nelle ore immediatamente successive all’inserimento degli impianti sia dopo mesi.

Di fondamentale importanza per la prevenzione della perimplantite sono i controlli periodici programmati dopo l’intervento e le sedute di igiene professionale. Durante le visite di controllo e di igiene professionale il dentista potrà verificare lo stato di salute dell’impianto ed eventualmente intercettare tempestivamente i primi sintomi di perimplantite.

Infine se il paziente è un fumatore dovrà impegnarsi a eliminare o quanto meno limitare il consumo di sigarette. Il tabagismo infatti è una concausa delle infezioni del cavo orale ed è in grado di accelerare tutti i fenomeni infettivi e infiammatori.

Il collutorio, serve davvero? E a chi?

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Molto spesso, dopo una visita di controllo o una seduta di igiene dentale professionale ci vengono richiesti consigli sull’uso del collutorio, sulla sua reale efficacia nel mantenere la bocca sana e quale tra i vari presenti in commercio sia il migliore.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

Il collutorio è indispensabile per l’igiene orale?

In realtà no. Se un paziente non ha particolari problemi e riesce a mantenere un buono stato di salute del proprio cavo orale semplicemente con le normali manovre di igiene orale domiciliare, può tranquillamente fare a meno di usare questo prodotto.

Tuttavia il suo utilizzo non è sconsigliato in alcuni casi. L’importante è che sia solo di supporto alla pulizia dei denti quotidiana effettuata con spazzolino e filo interdentale o scovolino.

Molto spesso infatti i collutori vengono presentati come liquidi miracolosi capaci di eliminare da soli il 100% di placca e batteri inducendo la convinzione che da soli possono pulire efficacemente la bocca. Se le cose stessero effettivamente così non avremmo più pazienti con carie, gengiviti, parodontiti o altre patologie del cavo orale.

Quindi ritornando alla domanda, sì, il collutorio può aiutare l’igiene orale, ma da solo non serve a niente, va quindi usato solo dopo un corretto spazzolamento di denti e gengive accompagnato dall’uso di strumenti come il filo interdentale per eliminare eventuali residui di cibo tra gli spazi interstiziali dei denti.

Tipi di collutorio

In genere i colluttori vengono divisi in due categorie a seconda delle funzioni che svolgono. Ci sono i collutori:

  • terapeutici, sono dei veri e propri farmaci (ad esempio quelli a base di clorexidina) che devono essere utilizzati solo sotto consiglio o prescrizione del proprio dentista per un tempo limitato poiché hanno diversi effetti collaterali se usati per lunghi periodi. In genere vengono raccomandati per la  cura di infiammazioni gengivali o infezioni o dopo interventi chirurgici in sostituzione dello spazzolamento.
  • cosmetici, possono essere acquistati anche nei supermercati e si limitano a un’azione antibatterica molto blanda. Possono essere utilizzati anche quotidianamente.

Per quanto riguarda la scelta di specifici tipi di collutorio da usare quotidianamente, è certo possibile chiedere consiglio al proprio dentista o igienista dentale che, in base alle criticità, del paziente potrà suggerirne uno specifico.

Ad esempio esistono collutori remineralizzanti, desensibilizzanti, per le lesioni delle mucose, per l’integrazione salivare, antibatterici, ecc…

Collutorio alla clorexidina

Il collutorio alla clorexidina come anticipato, deve essere utilizzato seguendo attentamente le indicazioni del proprio dentista e per un breve periodo. Questo tipo di collutorio infatti ha alte proprietà disinfettanti ed è utilizzato principalmente per la prevenzione di infezioni del cavo orale dopo un intervento dentistico, per la cura di gengiviti e infiammazioni.

L’uso prolungato di collutori a base di clorexidina infatti può avere diversi effetti collaterali come:

  • la comparsa di macchie scure sui denti. Questo inestetismo si verifica soprattutto quando se ne fa un cattivo uso, ad esempio tenendolo in bocca troppo a lungo o utilizzandolo anche dopo la cura prescritta dal medico. Tuttavia la colorazione anomala dei denti può essere eliminata con la pulizia dei denti professionale
  • disgeusia o alterazione della percezione del gusto che termina dopo la sospensione del prodotto

Inoltre alcuni hanno lamentato la comparsa di pigmentazione nerastra della lingua, bruciore o ulcerazione della mucosa orale.

Collutorio con alcol sì o no?

Molti collutori presentano tra gli ingredienti una percentuale di alcol che a lungo andare potrebbe creare alcuni problemi come lesioni delle mucose, sensazione di bruciore, dolore, disidratazione dei tessuti. Per questo motivo se ne sconsiglia un uso quotidiano, mentre quelli senza alcol possono essere utilizzati quotidianamente, anche più volte al giorno. 

In conclusione a parte i casi specifici in cui viene prescritto dal dentista un colluttorio non ha senso utilizzarlo quotidianamente se si esegue uno spazzolamento corretto seguito dall’ uso di filo o scovolino e dell’idropulsore. Il colluttorio è sempre un composto chimico che a lungo andare può dare degli effetti collaterali alle gengive.

Lingua bianca, ecco cosa bisogna sapere

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Tra le preoccupazioni dei pazienti, una delle più frequenti è sicuramente quella relativa alla lingua bianca, la quale, pur rappresentando una condizione molto diffusa, spesso allarma notevolmente i pazienti generando talvolta anche imbarazzo in chi ne è affetto..

In realtà, nella maggior parte dei casi, il colore bianco della lingua non deve destare preoccupazioni, anche se è sempre consigliato rivolgersi al proprio medico di fiducia, dal momento che un’alterazione cromatica linguale può celare anche delle condizioni patologiche.

Perché ho la lingua bianca?

La lingua è un organo molto sensibile alle variazioni degli equilibri del nostro organismo, sia per l’intensa vascolarizzazione, sia per la sua conformazione e posizione anatomica. Essa infatti, come sappiamo, è ricoperta da uno strato di piccole estroflessioni definite papille filiformi, le quali oltre ad avere la funzione gustativa, tendono a trattenere le cellule esfoliate e i piccoli residui alimentari. Viene da sé che una buona igiene del dorso linguale è la a condizione primaria per una lingua rosa. Bisogna tuttavia fare attenzione, perché l’uso di spazzolini duri o un eccesso di energie può ledere la mucosa inducendo un’ipercheratosi, altra causa di lingua bianca. Anche l’alimentazione può incidere sul colore della lingua, è noto infatti che stati di ipovitaminosi, carenza di ferro e anemia possono determinare lingua bianca. Altri due fattori da non sottovalutare sono fumo ed alcol, il fumo in particolare rappresenta una causa molto comune di ipercheratosi linguale.

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Da leggere: come curare le afte in bocca

Quali sono cause ed effetti dell’evento?

Escludendo le condizioni non patologiche più frequenti. qui di seguito vediamo un elenco delle cause di lingua bianca.

Candidosi orale

Rappresenta senz’altro la causa più frequente di lingua bianca. Si tratta di una micosi sostenuta da un fungo, candida albicans, che in determinate condizioni prolifera sul dorso della lingua, colorandolo di bianco. Si tratta di una condizione molto frequente nei neonati e nei bambini (mughetto) e facilmente riscontrabile in chi fa uso di corticosteroidi orali, nei diabetici, negli immunodepressi (HIV positivi, pazienti oncologici) e in chi fa uso prolungato di antibiotici ad ampio spettro.

Pur costituendo una patologia molto diffusa. la candidosi deve destare sospetti in quei pazienti in cui si presenta frequentemente e in maniera severa.

Infatti può essere un importante segno di abbassamento delle difese immunitarie. Non è escluso che dietro una lingua bianca si celi una condizione più importante.

Leucoplachia

Si tratta di una lesione bianca che si manifesta come una macchia, che può comparire in diverse regioni della bocca, e che si presenta molto frequentemente sulla lingua, anche se interessa spesso anche guance e, più di rado, pavimento orale.

La leucoplachia è di frequente riscontro nei fumatori, in cui viene definita cheratosi da tabacco, ma si può manifestare anche in pazienti privi di fattori di rischio, in cui merita particolare attenzione, dal momento che può rappresentare una lesione precancerosa.

Lichen Planus

Il Lichen è una condizione su base immunitaria. si manifesta come delle macchie bianche, più frequentemente delle strie, e può interessare lingua, gengive, guance, labbra. In genere si distingue facilmente dalle altre condizioni viste, perché spesso associata ad altre lesioni bianche presenti in cavità orale.

Lingua bianca, mi devo preoccupare?

La lingua bianca non deve preoccupare, ma spesso rappresenta un problema percepito più sul piano estetico che quindi tende a limitare i rapporti sociali.

Per questo motivo, e anche per scongiurare la possibilità di problematiche di base, è bene consultare uno specialista, che sarà in grado di dirci se la colorazione anomala della nostra lingua è solo dovuta a fattori non patologici correggibili (come fumo, carenze nutrizionali, cattiva igiene orale) o se alla base vi è una condizione più seria.

Rimedi contro la lingua bianca

La prima cosa da fare, è provare a migliorare la propria igiene orale, magari facendo uso di un puliscilingua. In secondo luogo, potrebbe essere utile verificare la presenza di carenze vitaminiche o di ferro, ed integrarle, e assicurarsi di bere abbastanza e ridurre il sale, soprattutto nei periodi più caldi. Inoltre è bene limitare il fumo e l’alcol, che rappresentano un importante fattore d’irritazione.

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